Le esecuzioni sporche sono sbagliate e pericolose? (parte 2): un approfondimento scientifico

Nella prima parte ho introdotto la tematica generale sull’errata convinzione secondo cui qualsiasi esecuzione delle grandi alzate che si discosta dal movimento didattico (volgarmente, “esecuzione sporca”) sarebbe sbagliata a prescindere.

Abbiamo visto che non è necessariamente così, spigando parte dei motivi tecnici per cui un’esecuzione “brutta da vedere”, da parte degli atleti, può essere voluta nonché sicura se personalizzata.

In questa seconda parte vedrò di ampliare la questione, addentrandomi in alcune questioni tecniche supportate da un po’ di ricerca scientifica.

Le esecuzioni “sporche” sono sempre pericolose?

In breve, si può dire che se l’esecuzione alterata è voluta, probabilmente è meno pericolosa di quanto possa sembrare. La pericolosità del sollevare un bilanciere a schiena curva è un tema molto dibattuto (si vedano alcuni articoli sul mio blog) che al momento resta controverso per molti aspetti. A questo proposito mi permetto di dire che: non è vero che sollevando a schiena curva carichi pesanti non cambia nulla, che la tecnica non conta nulla per la prevenzione di infortuni, o che non c’è un modo più sicuro e uno meno di fare gli esercizi.

Effettivamente, alcuni studi mostrano che l’incidenza di infortuni non cambia sollevando a schiena dritta o flessa, ma ciò non è mai stato provato con sollevamenti pesanti. Il famoso e sempre citato studio di Saraceni et al. (1) analizzava solo ed esclusivamente pesi molto leggeri, che vanno da una penna ad un massimo di 12 kg! Quindi è vero che mancano prove sulla pericolosità degli alti carichi (anche se qualcosa empiricamente lo si può dedurre), ma mancano anche le prove della sicurezza.

Dobbiamo considerare che uno squat tanto inclinato e schienato non implica per forza una flessione della colonna. Molti degli atleti che usano tecniche non canoniche hanno comunque la capacità di mantenere la stabilità della colonna e il controllo anche in movimenti che a prima vista sembrano molto stressanti. Quando vediamo il video di un’esecuzione “sporca”, siamo portati a pensare in automatico che la colonna subisca grandi insulti, e che in un’esecuzione “pulita” sia perfettamente immobile in un punto di neutralità.

Nella ricerca invece è stato visto più volte che in uno stacco da terra o in uno squat la colonna non viene mantenuta mai perfettamente immobile (2). La neutralità delle curve del rachide è un range più o meno ampio all’interno del quale ci si dovrebbe mantenere stabili e compatti, non un angolo preciso che se perso causerebbe infortuni. Di fatto, nella normalità la colonna subisce sempre dei micromovimenti anche se la si tiene stabile e compatta (2).

Questo però non significa che sia accettabile sollevare un massimale con la schiena rilassata in completa flessione. Da un famoso studio di McGill (2) emerge che non tutti i gradi di flessione sono uguali: una flessione limitata previene la tensione sul compartimento legamentoso passivo del rachide, mentre questo avviene a gradi estremi del range di movimento (cosa spiegata dal fenomeno flessione-rilassamento). Quindi non tutte le esecuzioni sporche sono uguali: un conto una leggera flessione della schiena nello squat, un conto è essere completamente piegati in due con la schiena che si accartoccia.

Lo stesso può essere detto per altre alzate. Una panca in cui si perde parzialmente l’assetto scapolare e si allargano i gomiti in spinta può essere sicura se eseguita con controllo, e se si è allenati a gestire il carico anche in quegli angoli e con quella modalità; anzi, può essere addirittura una strategia voluta per chiudere più facilmente un’alzata. Ben diverso invece è il caso di una panca nella quale arrivati al petto si perde totalmente l’assetto scapolare, con i gomiti che fuoriescono dalla linea di spinta esponendo strutture non condizionate a bruschi sovraccarichi. Questi due casi possono sembrare simili, ma i rischi sono decisamente diversi.

Cosa comporta una tecnica “sporca”?

Semplificando, potremmo dire che una tecnica sporca sposta il carico su aree o tessuti diversi rispetto a una tecnica canonica. Per esempio, “sculare” nello stacco riduce l’attivazione dei quadricipiti e aumenta quella dei muscoli della bassa schiena e degli ischiocrurali (3).

Tali modifiche potrebbero essere adottate di proposito in maniera sicura e produttiva: un bodybuilder può modificare l’esercizio per aumentare la tensione meccanica sul muscolo bersaglio riducendo il lavoro dei muscoli sinergici; oppure, un powerlifter che sceglie di stare più inclinato nello squat, spostando il carico dal quadricipite alla muscolatura dell’anca, cosi da sollevare di più in gara.

Diventa invece un problema quando il carico si sposta dal muscolo agonista a strutture che non sono adatte o semplicemente adattate a tollerare forze elevate. Può essere il caso di uno stacco in cui si perde completamente la tenuta della schiena: il carico stira eccentricamente gli erettori spinali fino a mettere in tensione il compartimento legamentoso del rachide, che da un ruolo passivo prima sopraffatto dalla tenuta dei muscoli, ora si trova a sostenere un carico enorme.

Un altro esempio è uno stacco dove si piega il gomito della mano supina, aumentando drasticamente il carico sul bicipite, che spesso finisce per lesionarsi se non addirittura distaccarsi. Si potrebbero fare molti altri esempi, ma il concetto importante è che una tecnica “sporca” sposta le tensioni su altre strutture: se queste strutture sono capaci di tollerarle i rischi sono bassi; se invece le strutture non sono adattate per reggere questi stress, l’infortunio è molto probabile. Perciò poniamo due scenari simili ma con implicazioni molto diverse:

  • Scenario 1: Soggetto tecnicamente scarso, fa squat benino ma quando si avvicina al massimale di colpo si sbilancia in avanti: il busto si inclina parecchio, la colonna si flette, e si trova di colpo a fare un massimale di good morning venuto male. Posizione non allenata, carico non gestibile, enorme carico sugli ischiocrurali che si allungano sotto carico e sulla schiena, quindi probabile infortunio.
  • Scenario 2: Soggetto avanzato che fa lo squat volutamente più schienato. Lo pratica da anni, ogni serie è uguale ed ha il controllo del movimento. Ha volutamente spostato il carico dal quadricipite alla catena posteriore che è forte ed allenata a gestire quei carichi. Le probabilità di infortunarsi sono molto basse.

La tecnica conta

Sarà banale dirlo, ma la tecnica conta anche per la prevenzione degli infortuni, perché con la giusta tecnica si distribuiscono le forze sulle strutture che le possono reggere; così, una tecnica “sporca” di fatto sposta il carico da alcune strutture ad altre.

È stato osservato più volte, sia tramite modelli biomeccanici che su soggetti in palestra, che cambiamenti della tecnica spostano le forze tra le articolazioni (4,5). Ad esempio, spostare in avanti le ginocchia e usare una stance (posizione dei piedi) stretta nello squat aumenta le forze in gioco sul ginocchio (4); allontanare il bilanciere dalle tibie nello stacco aumenta la distanza dal fulcro aumentando drasticamente le forze richieste a parità di carico (6).

Più forze non significa per forza più rischi, ma a seconda della situazione questo potrebbe essere un bene o un male. Se un tessuto si è adattato nel tempo per tollerare le forze di certe entità ma non si accuserà nessun problema, ma se queste forze sono eccessive per il suo grado di tolleranza, possono insorgere dei problemi. 

Non esistono solo dati teorici su forze e modelli, ma anche delle associazioni interessanti. Per esempio, la panca piana balistica con il rimbalzo al petto è associata ad un maggior rischio infortunio della spalla, a strappo del muscolo pettorale (5), e frattura alla clavicola (7). Studi sugli infortuni nel powerlifting hanno riportato che gli atleti attribuiscono la causa dell’infortunio alla tecnica scorretta (8-10).

Nel 2018 ho raccolto personalmente dei dati sugli infortuni tra gli atleti del powerlifting italiano, e posso confermare che anche in Italia molti atleti hanno riconosciuto nella tecnica scorretta una delle cause degli infortuni.

Ovviamente questi dati hanno una valenza relativa, perché si basano semplicemente su un’opinione personale e non su prove. Ma nonostante tutto, sia i dati pubblicati in letteratura sia l’esperienza sul campo smentiscono che la tecnica non conta, ma semplicemente non tutte le alzate sono sporche uguali. L’aspetto importante in questo caso è capire che una tecnica “sporca” o brutta da vedere non è necessariamente sbagliata per il soggetto (perlomeno avanzato), ma semplicemente frutto di una personalizzazione che, in maniera apparentemente paradossale, potrebbe essere per lui più sicura di una tecnica pulita per il suo obiettivo.

Adattamenti extra-muscolari

Così come i muscoli, anche altre strutture si adattano all’allenamento, e ciò supporta quanto detto precedentemente sulla tecnica “sporca”. Il caso di principiante che sporca la tecnica durante la serie perché non gestisce il carico e non padroneggia il gesto, è totalmente diverso da quello di un veterano che da anni adotta deliberatamente una tecnica “sporca” in maniera precisa. Di conseguenza, anche le strutture extra-muscolari esposte a traumi avranno un livello di adattamento completamente diverso per gestire una certa distribuzione delle forze e certi stress.

Adattamenti tendinei

La capacità di adattamento dei tendini è ampiamente accettata (11,12). Diversi studi hanno dimostrato che con l’allenamento contro resistenza i tendini aumentano la loro stiffness (rigidità), e non a caso, in coloro che si allenano in questo modo da molti anni risulta una loro maggiore sezione trasversa (ipertrofia) rispetto ai sedentari (13,14).

Alcuni dati mostrano come i soggetti allenati avessero un tendine più ipertrofico del 34% rispetto ai sedentari (curiosamente, in chi assumeva steroidi risultava uno spessore superiore di solo il 19%) (14). Un interessante studio recente su gemelli ha mostrato come quello tra i due che si allena regolarmente ha il tendine d’Achille più spesso del 28% rispetto al fratello che non si allena (15).

Devo però precisare che qui stiamo parlando di adattamenti che si verificano in anni, non in qualche settimana. Infatti uno studio mostra come nel primo mese di allenamento non cambia praticamente nulla, un aumento della sezione trasversa del tendine si verifica solo dopo anni (16).

Adattamenti legamentosi

Forse è meno noto che anche i legamenti – delle “corde” che collegano osso a osso – si adattano, rinforzandosi. Ad esempio, i legamenti crociati delle ginocchia dei pesisti professionisti sono più spessi dei soggetti sedentari, e questo è tanto più evidente in proporzione agli anni di allenamento (17). 

È stato visto come negli sport in cui si usa più l’arto inferiore dominante, come pattinatori e saltatori, il legamento crociato anteriore è nettamente più spesso nell’arto dominante rispetto alla controlaterale, confermando che non solo con l’allenamento il legamento si irrobustisce, ma anche che evidentemente più il tessuto viene sottoposto a forze e più si adatta (18).

Adattamenti discali

Per molto tempo si è pensato che i dischi intervertebrali non avessero capacità di adattamento, eppure è stato dimostrato che anche queste strutture si adattano e si modificano con l’allenamento, anche se i tempi perché questo avvenga sono molto più lunghi (19,20). I tempi sono diversi rispetto agli adattamenti muscolari perché il disco è drasticamente meno irrorato e nutrito rispetto al muscolo (e al tendine), e meno un tessuto riceve sangue e nutrienti, più lento sarà nel rigenerarsi e crescere. Come approfondito in Fare addominali fa male alla schiena?, esistono anche degli esercizi che in teoria potrebbero favorire l’approvvigionamento di nutrienti ai dischi, e quindi accelerare i tempi di adattamento.

Anche la genetica conta

L’ultimo fattore, ma non meno importante, che spiega perché gli atleti avanzati si possono permettere le esecuzioni “sporche”, è prevedibilmente la genetica.

Uno studio molto interessante ha valutato le proprietà meccaniche del tendine patellare di vari calciatori trovando delle caratteristiche che distinguevano i professionisti dai non professionisti (21). Queste differenti proprietà meccaniche erano anche correlate con le prestazioni di salto (superiori nei professionisti). È importante precisare che nello studio sono stati confrontati giocatori con una simile anzianità di allenamento.

Analisi genetiche hanno dimostrato che non solo i fattori genetici determinano prestazioni di alto o di basso livello negli sportivi, ma determinano anche l’esposizione al rischio di infortunio a diversi tessuti, ad esempio a livello muscolare e legamentoso (22-26).

Questo conferma che dei fattori genetici permettono ad alcuni atleti di resistere a stress maggiori rispetto alla norma. Ciò significa che anche nel mondo dei pesi, alcuni soggetti sono maggiormente resistenti agli infortuni, e hanno così la possibilità di adattarsi nel tempo e “sopravvivere” a pratiche che per gran parte delle persone sarebbero lesive o invalidanti.

Conclusioni

In questo articolo si è potuto comprendere come la questione della tecnica usata nel sollevamento degli esercizi è molto più complessa di come sembra da un’analisi superficiale. Non è detto che se un’esecuzione è “brutta da vedere” e non convenzionale, allora è automaticamente sbagliata e/o pericolosa, sebbene questa sia la percezione diffusa tra molti operatori nel ramo del fitness.

La questione richiede una competenza specifica nel campo delle grandi alzate (come il powerlifting o la pesistica olimpica), oltre che di conoscere il contesto e la storia del soggetto.

Molte esecuzioni che a prima vista sembrano dei “suicidi coreografici”, in realtà possono essere frutto di un grande e lungo lavoro cucito addosso all’atleta esperto per ottimizzare i suoi obbiettivi. Sull’atleta esperto tale esecuzione non sarebbe rischiosa come appare, ribadendo che dietro c’è la piena padronanza del gesto e un fine lavoro di condizionamento e rinforzo. Va comunque riconosciuto che gli atleti di alto livello si assumono consapevolmente dei rischi pur di ottenere la massima prestazione, ma questo vale in tutti gli sport agonistici, non solo per il mondo dei pesi.

Quanto detto non implica che la tecnica per sollevare i pesi non conta, ma bensì che la tecnica corretta per il singolo soggetto, specie se avanzato e agonista, spesso non corrisponde allo schema ideale e stereotipato che si apprende ai corsi di base e nei tutorial. Spero con questo articolo di aver posto delle basi in più per valutare la tecnica delle alzate quando queste si discostano dagli standard canonici.

Riferimenti:

  1. Saraceni N et al. To flex or not to flex? Is there a relationship between lumbar spine flexion during lifting and low back pain? A systematic review with meta-analysis. J Orthop Sports Phys Ther. 2020 Mar;50(3):121-130.
  2. Potvin JR et al. Trunk muscle and lumbar ligament contributions to dynamic lifts with varying degrees of trunk flexion. Spine (Phila Pa 1976). 1991 Sep;16(9):1099-107.
  3. Escamilla RF et al. A three-dimensional biomechanical analysis of sumo and conventional style deadlifts. Med Sci Sports Exerc. 2000 Jul;32(7):1265-75.
  4. Schoenfeld BJ. Squatting kinematics and kinetics and their application to exercise performance. J Strength Cond Res. 2010 Dec;24(12):3497-506.
  5. Green CM, Comfort P. The affect of grip width on bench press performance and risk of injury. Strength Cond J. 2007;29(5):10–14.
  6. Escamilla RF et al. Biomechanical analysis of the deadlift during the 1999 Special Olympics World Games. Med Sci Sports Exerc. 2001 Aug;33(8):1345-53.
  7. Gill IPS, Mbubaegbu C. Fracture shaft of clavicle, an indirect injury from bench pressing. Br J Sports Med. 2004 Oct; 38(5): e26.
  8. Mannis CI. Transchondral fracture of the dome of the talus sustained during weight training. Am J Sports Med. 1983 Sep-Oct;11(5):354-6.
  9. Jones M. Bilateral anterior dislocation of the shoulders due to the bench press. Br J Sports Med. 1987 Sep;21(3):139.
  10. Cresswell TR, Smith RB. Bilateral anterior shoulder dislocations in bench pressing: an unusual cause. Br J Sports Med. 1998 Mar;32(1):71-2.
  11. Reeves ND, Narici MV, Maganaris CN. Strength training alters the viscoelastic properties of tendons in elderly humans. Muscle Nerve. 2003 Jul;28(1):74-81.
  12. Malliaras P et al. Patellar tendon adaptation in relation to load-intensity and contraction type. J Biomech. 2013 Jul 26;46(11):1893-9.
  13. Couppé C et al. Life-long endurance running is associated with reduced glycation and mechanical stress in connective tissue. Age (Dordr). 2014;36(4):9665.
  14. Seynnes OR et al. Effect of androgenic-anabolic steroids and heavy strength training on patellar tendon morphological and mechanical properties. J Appl Physiol (1985). 2013 Jul 1;115(1):84-9.
  15. Sichting F et al. An identical twin study on human achilles tendon adaptation: regular recreational exercise at comparatively low intensities can increase tendon stiffness. Front Physiol. 2022 Jan 5;12:777403.
  16. Wiesinger HP et al. Effects of increased loading on in vivo tendon properties: a systematic review. Med Sci Sports Exerc. 2015 Sep;47(9):1885-95.
  17. Grzelak P et al. Hypertrophied cruciate ligament in high performance weightlifters observed in magnetic resonance imaging. Int Orthop. 2012 Aug;36(8):1715-9.
  18. Beaulieu ML et al. The anterior cruciate ligament can become hypertrophied in response to mechanical loading: a magnetic resonance imaging study in elite athletes. Am J Sports Med. 2021 Jul;49(9):2371-2378.
  19. Belavý DL et al. Can exercise positively influence the intervertebral disc? Sports Med. 2016 Apr;46(4):473-85.
  20. Belavý DL et al. Running exercise strengthens the intervertebral disc. Sci Rep. 2017 Apr 19;7:45975.
  21. Murtagh CF et al. Patellar tendon properties distinguish elite from non-elite soccer players and are related to peak horizontal but not vertical power. Eur J Appl Physiol. 2018 Aug;118(8):1737-1749.
  22. Maffulli N et al. The genetics of sports injuries and athletic performance. Muscles Ligaments Tendons J. 2013 Aug 11;3(3):173-89.
  23. Longo UG et al. Unravelling the genetic susceptibility to develop ligament and tendon injuries. Curr Stem Cell Res Ther. 2015;10(1):56-63.
  24. Appel M et al. Effects of genetic variation on endurance performance, muscle strength, and injury susceptibility in sports: a systematic review. Front Physiol. 2021 Jul 21;12:694411.
  25. Silva HH et al. Genomic profile in association with sport-type, sex, ethnicity, psychological traits and sport injuries of elite athletes. J Sports Med Phys Fitness. 2022 Mar;62(3):418-434.
  26. Guo R et al. Association of COL5A1 gene polymorphisms and musculoskeletal soft tissue injuries: a meta-analysis based on 21 observational studies. J Orthop Surg Res. 2022 Mar 3;17(1):129.

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