La chetosi è fisiologica

Articolo originariamente pubblicato il 17 dicembre 2014 su projectinvictus.it, e in seguito incluso riadattato come capitolo nel testo Project Nutrition (2015).

L’articolo, molto prolisso com’era tipico nel mio stile del tempo, era il primo sul web italiano a fornire un dettagliato approfondimento sul tema della chetosi nel contesto fisiologico, ovvero di normalità. All’epoca, ad una normale ricerca su Google italiano infatti si trovavano perlopiù articoli terroristici, scritti purtroppo da persone titolate come medici e nutrizionisti, sul fatto che la dieta chetogenica fosse nociva e assolutamente da evitare. Eppure, la ricerca non confermava proprio il parere di gran parte dei professionisti, che al tempo evidentemente non consultavano la letteratura scientifica come è diventato più frequente in anni recenti.

Pubblicai il lavoro sull’allora nascente sito Project inVictus su richiesta di Andrea Biasci, che poi mi propose di inserirlo riadattato anche nel libro Project Nutrition pubblicato l’anno seguente. Negli anni successivi, la dieta chetogenica ha visto una maggiore accettazione nell’ambito sanitario, sebbene continui tutt’oggi ad essere visto, comprensibilmente, un approccio alimentare controverso.

Corpi chetonici e chetosi

I corpi chetonici sono tre, l’acetoacetato (AcAc), il β-idrossibutirrato (β-OHB), e l’acetone. Questi sono prodotti a partire dagli acidi grassi, o meglio dai suoi intermedi metabolici, ovvero dall’accumulo di acetil-CoA nella matrice mitocondriale degli epatociti. Più precisamente, dal AcAc formato da due molecole di acetil-CoA si vengono a creare β-OHB e acetone. Tra questi due, il β-OHB è il principale chetone circolante, mentre l’acetone viene prevalentemente eliminato tramite la respirazione.

I corpi chetonici possono essere usati come substrato energetico da tutti i tessuti dotati di mitocondri, come il cervello e il muscolo scheletrico, ma non dal fegato [1]. Il principale ruolo dei corpi chetonici è in realtà quello di sostituire il glucosio come substrato energetico di origine lipidica per il sistema nervoso centrale (SNC) [2,3]. L’SNC infatti in condizioni di alimentazione “normoglucidica” (consumo di carboidrati cronico al di sopra di certi livelli minimi) è definito come tessuto glucosio-dipendente a causa del suo metabolismo glicolitico e l’incapacità di sfruttare gli acidi grassi a scopo energetico [4].

L’SNC però è in grado di adattarsi perfettamente all’utilizzo di corpi chetonici a scopo energetico laddove vengano a mancare sufficienti quantità di carboidrati nella dieta per un tempo relativamente lungo (qualche giorno) [5]. In questo senso, al contrario degli altri tessuti dipendenti dal glucosio, il sistema nervoso centrale è solo “condizionatamente” glucosio-dipendente.

La chetosi è una condizione metabolica che si insatura fisiologicamente (cioè, nei casi non-patologici) soprattutto durante una dieta a bassissimo o nullo apporto di carboidrati (dieta chetogenica) o durante il digiuno prolungato:

La funzione fisiologica della chetosi è quella di fornire il cuore e il sistema nervoso centrale con dei substrati metabolici altamente energetici durante [i periodi di] ridotta disponibilità di glucosio – grazie a questo meccanismo i chetoni hanno permesso ai nostri antenati di sopravvivere e rimanere efficienti anche quando sprovvisti di cibo“ (Paoli et al., 2012) [6].

“[…] i chetoni non devono essere considerati una sostanza tossica o un sottoprodotto anomalo del metabolismo umano. Piuttosto, i chetoni sono normali sostanze fisiologiche che giocano molti importanti ruoli nel corpo umano.” (McDonald L., 1998) [7].

Nel soggetto sano essa viene definita “chetosi fisiologica” [8,9], la quale può essere a sua volta differenziata rispettivamente in chetosi nutrizionale, nella dieta chetogenica [10], e chetosi da digiuno, nel digiuno prolungato [11]. Un’ulteriore forma di chetosi è la chetosi post-esercizio [12], che si verifica eccezionalmente a seguito dell’attività aerobica prolungata, se praticata per un periodo piuttosto protratto dopo alcune ore di digiuno o di privazione di carboidrati [13]

Chetosi fisiologica vs. chetosi patologica

Un  punto su cui viene fatto troppo spesso impropriamente affidamento da parte dei detrattori delle diete low carb, ma anche di molti testi, è quello di scambiare scorrettamente le forme di chetosi fisiologica con le forme di chetosi patologica/sintomatica o chetoacidosi.

Le forme di chetosi patologica possono essere suddivise in chetoacidosi diabetica, caratteristica del diabete di tipo 1 [14], e in chetoacidosi alcolica, presente negli alcolisti [15]. Il termine “chetosi fisologica” venne coniato nel 1966 da Hans Krebs, il padre della biochimica moderna, per distinguerla dalla chetoacidosi patologica caratteristica del diabete di tipo 1, oltre che per sottolineare il fatto che i chetoni servissero da efficiente substrato energetico per la respirazione [16].

Spesso i denigratori delle diete low carb/chetogeniche scambiano, a causa della similitudine fonetica e della scarsa informazione a riguardo, uno stato patologico in realtà estraneo alla condizione metabolica quale la chetosi fisiologica che si verifica nel soggetto sano. Questo comune errore di interpretazione è stato spesso segnalato anche in letteratura [17-19], quando la chetosi fisiologica non solo è stata giudicata da molti ricercatori come innoqua per la salute [20,21], ma le diete chetogeniche sono oggi notoriamente utilizzate nella ricerca per il trattamento di numerose patologie anche gravi, tra cui insulino-resistenza, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, obesità, cancro, epilessia, e altre malattie neurologiche [9,22-24], solo per citarne alcune.

Il primo uso terapeutico della dieta chetogenica risale agli anni venti per trattare l’epilessia [25], patologia per la quale viene utilizzata tutt’oggi. Apparirebbe di fatto come una grande contraddizione se nella ricerca, per curare delle malattie,  i soggetti patologici vengano esposti ad un presunto stato metabolico patologico. Gli interessati possono consultare i relativi documenti scientifici che approfondiscono il largo uso delle diete chetogeniche per il trattamento di patologie [9,17,22-24].

La principale differenza tra la chetosi fisiologica e la chetosi patologica sta nelle concentrazioni di chetoni nel sangue (chetonemia). La chetosi fisiologica infatti non provoca mai un livello di chetoni nel sangue nocivo, grazie a diversi meccanismi di feedback (di controllo) presenti nel corpo in grado di creare infine un bilancio neutro, tra cui l’azione dell’insulina (impossibile nella chetoacidosi da diabete di tipo 1 ma perfettamente funzionante nel soggetto sano) e l’efficienza del SNC e di altri tessuti extraepatici nell’ossidare in preponderanza chetoni. Le forme di chetosi patologica sono invece potenzialmente fatali [26].

Trattare nel dettaglio le rilevanti e ben note differenze nella letteratura specifica tra chetosi fisiologica e chetoacidosi [27] si allontana dagli scopi di questo articolo, ma è bene semplicemente chiarire che nella chetosi fisiologica (nutrizionale o da digiuno) la chetonemia non supera mai le concentrazioni plasmatiche di 7-8 mmol/dL, mentre nella chetoacidosi diabetica la chetonemia raggiunge livelli di circa 20-25 mmol/decilitro (più di tre volte) [22,28]. Peraltro, nella chetosi dietetica la chetonemia si abbassa progressivamente stabilizzandosi a livelli minimi entro le 10-12 settimane [17]. È bene precisare che le concentrazioni di chetoni patologiche non si verificano mai nei soggetti non diabetici o non alcolisti [26]. Inoltre, nella chetosi fisiologica il pH ematico rimane entro range fisiologici, mentre si abbassa nella chetoacidosi diabetica [29].

Fattori temporali

Al fine di evitare l’approccio semplicistico e parziale caratteristico delle comuni fonti di informazione sull’argomento, è necessario approfondire entro quale tempistica “i grassi brucerebbero ancora al fuoco dei carboidrati” dopo la privazione dei carboidrati alimentari, prima che inizi ad instaurarsi la chetosi fisiologica nel soggetto sano. Data la complessità dell’argomento, è facile che un’informazione troppo generica possa portare a produrre ipotesi fortemente fuorvianti.

Chi tende a prendere una posizione non neutrale sul caso infatti potrebbe arrivare a sostenere, molto approssimativamente, che alla minima privazione di carboidrati si verifichi la “falla nel sistema” che blocchi il dispendio di grassi da parte delle cellule, provocando ipotetiche e presunte conseguenze avverse. Come detto, esiste una relazione tra l’aforisma “i grassi buciano al fuoco dei carboidrati” e la chetogenesi. Infatti è proprio quando i grassi cominciano a “non bruciare più (almeno ad un alto tasso) al fuoco dei carboidrati” nel fegato (il chè non significa assolutamente che non vengano impiegati energeticamente) che inizia ad instaurarsi la chetosi fisiologica.

L’instaurarsi della chetosi fisiologica nel soggetto sano è dipendente soprattutto da due fattori, ovvero, 1) il livello di carboidrati giornalieri consumati; 2) ed entro quale termine i carboidrati nella dieta rimangono ridotti ad un livello tale da poter permettere l’instaurarsi della chetosi. Ciò significa che esiste una soglia sia nel termine che nelle quantità di carboidrati, per fare in modo che la riduzione del loro apporto dietetico provochi la chetosi vera e propria, e che quindi i grassi inizino a “non bruciare più al fuoco dei carboidrati” in sede epatica, pur continuando ad essere generalmente impiegati – in realtà ad un tasso ben superiore – a scopo energetico. Le quantità di carboidrati massime per instaurare la chetosi si aggirano attorno a valori indicativi inferiori ai 100 g/die o inferiori al 20% dell’apporto eucalorico. Tuttavia, le quantità ideali di carboidrati normalmente suggerite per le diete chetogeniche ammontano a livelli pari o al di sotto dei 50 g/die [7,22].

Lo stato metabolico della chetosi è strettamente dipendente dai livelli di glicogeno epatico, ovvero dalle scorte endogene di carboidrati rilasciabili nel sangue. Dati approssimativi indicano che la quantità di glicogeno stoccato nel fegato, in condizioni normali ammonta a circa 100 g [30,31]. Tuttavia queste quantità possono essere circa raddoppiate a 200 gr con una dieta ad alto apporto di carboidrati [30]. In realtà si può dire che i livelli basali di glicogeno epatico siano dipendenti, tra i vari fattori, dalla quantità di carboidrati giornalieri consumati [32]. Pertanto, una dieta low carb (non-chetogenica) seguita in cronico ridurce le riserve basali di glicogeno epatico, mentre una dieta iper-glucidica le aumenta. Questo accade anche per le riserve di glicogeno muscolare [33].

I corpi chetonici vengono prodotti dal fegato, e il principale fattore che determina questa produzione è la quantità di glicogeno depositato al suo interno [34]. Il glicogeno epatico ha principalmente il ruolo di mantenere stabili i livelli glicemici, e il suo esaurimento avviene soprattutto con il digiuno [35,36], con la forte o totale restrizione dei carboidrati [35,36] e con l’attività fisica [37,38] (o ovviamente con questi fattori combinati). Quando i carboidrati vengono rimossi dalla dieta i livelli glicemici scendono (mantenendosi comunque nel range di euglicemia), e il fegato degrada il glicogeno a glucosio per mantenere stabile la glicemia.

La deplezione del glicogeno epatico avviene indicativamente entro 15-24 ore dopo che i carboidrati vengono rimossi dalla dieta, in base ai livelli iniziali di saturazione [35]. La ricerca sulla fisiologia del digiuno riconosce un consumo indicativo di glicogeno epatico ad un ritmo di 4 g/ora [39]. Se le quantità di glicogeno epatico ammontano approssimativamente a 100 gr, ciò significa che, in condizioni di riposo, le riserve epatiche possono esaurirsi effettivamente in circa 24 ore dall’ultima assunzione di carboidrati se partono da un “normale” grado di saturazione e se non si pratica attività fisica. La rapidità del processo di deplezione del glicogeno epatico è però dipendente anche dall’eventuale attività fisica [40], e dall’intensità e il volume con cui viene svolta [38], riducendo i tempi di deplezione.

Riassumendo, in condizioni “normali” e partendo da un elevato livello di saturazione del glicogeno epatico (100g circa), queste riserve si esauriscono entro un massimo di 24 ore, una tempistica che si riduce se il consumo di carboidrati nella dieta è relativamente basso, se si parte da un basso livello di saturazione delle scorte, o se vengono affrontate attività fisiche, in maniera più o meno rapida in base all’entità dello sforzo fisico. Nei primi 3 giorni circa tuttavia, pur aumentando le concentrazioni di chetoni nel sangue, le richieste basali di glucosio rimangono elevate ed è necessario qualche giorno perché l’SNC inizi ad adattarsi alla privazione cronica di carboidrati riducendone le richieste. I chetoni nei primi giorni vengono quindi ossidati per gran parte dai tessuti extra-epatici e non significativamente dal SNC. Uno dei principali tessuti che impiega chetoni ad un alto tasso a scopo energetico (chetolisi) nel periodo di adattamento è il muscolo scheletrico [41].

Riferimenti:

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  • Lorenzo Pansini

    Lorenzo Pansini è natural bodybuilder, formatore, personal trainer e divulgatore scientifico specializzato in nutrizione sportiva (ISSN-SNS) e allenamento per il miglioramento fisico. Con oltre 10 anni di esperienza attiva nella divulgazione scientifica, è stato per anni referente tecnico per l'azienda leader Project inVictus con vari ruoli, e richiesto da altre importanti realtà del settore nazionale. È autore per testi e riviste di settore, come Alan Aragon's Research Review, redatta dal ricercatore e nutrizionista americano Alan Aragon.

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