La dieta chetogenica (parte 1): introduzione e malintesi

Questo articolo vuole spiegare i meccanismi principali alla base delle fisiologia della dieta chetogenica, i risvolti che hanno nell’organismo e l’applicabilità di un regime a bassissimo tenore di carboidrati nella vita quotidiana, nonché in quella sportiva. Per la presenza di sezioni frammentabili (parte teorica, parte pratica e parte applicativa) l’articolo sarà pubblicato in tre parti.

Ma prima di iniziare con l’introduzione è necessario partire con alcune premesse. Infatti chi parla male della nutrizione low-carb commette generalmente uno o più dei seguenti errori:

1. Il cervello ha bisogno di 130-150 g/die di glucosio

Per quanto riguarda questo punto, innanzitutto il cervello può utilizzare un altro efficiente combustibile per i suoi processi metabolici: i corpi chetonici. Sono piccoli, leggeri, idrosolubili e possono passare la barriera ematoencefalica (la barriera di cellule che non permette il passaggio di tutte le sostanze dal sangue al sistema nervoso centrale). Allettante per l’organismo: nessun trasportatore, nessun recettore, tutto molto ‘comodo’.

In secondo luogo i grassi non bruciano solo al fuoco dei carboidrati: semplicemente, l’ossidazione completa dei grassi avviene se l’acetil-Coenzima A (acetil-CoA) prodotto nelle β-ossidazione può entrare nel ciclo di Krebs: questo è possibile solo se è disponibile l’ossalacetato, intermedio metabolico ricavato soprattutto (ma non esclusivamente) dal glucosio. Se il glucosio scarseggia, semplicemente l’atecil-CoA si condensa nella matrice mitocondriale a produrre corpi chetonici, che verranno poi utilizzati come energia dai tessuti extra-epatici.

2. I chetoni abbassano il pH e creano acidosi

Per quanto riguarda il rischio dell’acidosi durante una dieta povera di carboidrati, vediamo innanzitutto come nasce questa credenza. Negli individui con diabete mellito di tipo 1 le cellule β del pancreas non sono in grado di produrre insulina, e questo causa un’incapacità dei tessuti di utilizzare il glucosio, che si accumula nel sangue. Di conseguenza, il fegato comincia a produrre corpi chetonici per supportare i processi metabolici dei tessuti extraepatici. Il problema è che i tessuti diventano tanto più “abili” nell’utilizzare un substrato energetico quanto più questo è disponibile e quanto meno il “preferito” scarseggia: il preferito è il glucosio. Capiamo che se sia il glucosio che i corpi chetonici raggiungono alti livelli, i tessuti continuano a richiedere l’uso di glucosio, non si adattano all’utilizzo dei corpi chetonici, dunque non utilizzano nessuno dei due.

Se i corpi chetonici vengono prodotti in abbondanza dal fegato ma non vengono utilizzati dai tessuti, si accumulano rapidamente nel sangue causando una condizione potenzialmente fatale: la chetoacidosi diabetica. Il punto è che questo avviene esclusivamente nei soggetti con diabete mellito di tipo 1, ed i meccanismi non sono estrapolabili ed ‘impiantabili’ in soggetti normali. L’organismo si serve infatti di alcuni meccanismi di protezione in grado di mantenere il pH ematico in un range molto ristretto: 7.35-7.45.

  • Il primo meccanismo consiste nella stimolazione del pancreas, da parte degli stessi corpi chetonici, a produrre una piccola quantità di insulina: questa fa si che il rilascio di acidi grassi dagli adipociti diminuisca e dunque che siano meno disponibili al fegato per la chetogenesi; in secondo luogo agisce direttamente sul fegato, diminuendo la produzione di corpi chetonici; infine fa si che ci sia un aumento dell’escrezione urinaria di corpi chetonici.
  • Il secondo meccanismo consiste nell’effetto diretto che i corpi chetonici hanno sul rilascio di acidi grassi da parte del tessuto adiposo, che con una chetonemia pronunciata diminuisce.

Il quadro che da tutto questo risulta è che i diabetici di tipo 1, se non controllati, possono presentare valori altissimi di glicemia (oltre 300 mg/dl) insieme a produzione massiva di corpi chetonici (oltre 400 g/die) con conseguente alta concentrazione degli stessi ed instaurarsi dell’acidosi. I non diabetici, al contrario, presentano una cospicua produzione di corpi chetonici solo se la glicemia è bassa, che però non raggiunge mai livelli esorbitanti (180 g/die) cosicché il pH non scenda mai sotto valori critici (grazie anche ai meccanismi appena descritti).

3. Il peso perso è solo acqua e massa magra

Che in una dieta low-carb si perdano molti liquidi è vero, ma che si perdano esclusivamente liquidi e massa muscolare è un concetto assolutamente incorretto, dato che la perdita di grasso indotta da questa dieta è ben documentata in letteratura, e di certo non comporta minori perdite di grasso rispetto ad altre diete.

Nella dieta low-carb si verifica una deplezione del glicogeno muscolare e epatico. Poiché il glicogeno nell’organismo trattiene acqua (per ogni grammo di glicogeno sono presenti ~3 g di acqua) e può arrivare ad un totale di 400 g (e oltre in alcuni casi), è facilmente intuibile che eliminarlo significa togliere qualcosa come 1-1.5 kg di peso.

Inoltre, poiché almeno metà del glicogeno organico si trova nei muscoli, 0.5-0.7 kg persi per la sola deplezione di glicogeno sono kg che vanno via dal tessuto muscolare. Effettivamente, c’è una perdita di massa magra intesa come peso del tessuto magro, ma non perdita del tessuto magro in sé intesa come perdita di proteine.

In una dieta chetogenica c’è un’ulteriore perdita di acqua dovuta all’aumentata escrezione urinaria di liquidi per eliminare i corpi chetonici in eccesso, come descritto sopra. Infatti, come vedremo, la dieta chetogenica ha la nota caratteristica di risparmiare le proteine corporee, perché dopo un certo periodo di adattamento queste vengono utilizzate solo in minima parte per la produzione di glucosio.

4. Tornando alla normale alimentazione tutti i kg sono recuperati

Sulla questione del peso riacquistato, innanzitutto c’è da dire che sul lungo termine il corpo tende ad oscillare intorno allo stesso peso (teoria del set point) e dunque mantenere il peso perso può risultare molto difficile anche se la perdita di peso fosse stata raggiunta con altri tipi di diete.

Le persone che ingrassano nuovamente dopo la perdita di peso lo fanno perché, stressati dal cronico abbassamento dell’apporto calorico, tendono a tornare alle abitudini precedenti alla dieta, il chè spesso consiste nel mangiare tanto e male. Chi sa gestire bene la dieta sul lungo termine con qualche sapiente accorgimento, e sa gestire la fase di transizione, ha molte più possibilità di mantenere la forma, che abbia usato la dieta chetogenica o una dieta totalmente diversa per la perdita di peso.

Ma nella dieta chetogenica esiste un ulteriore fattore che potrebbe far confondere il riguadagno di peso portando a scambiarlo con un maggiore riguadagno di grasso: così come la deplezione di glicogeno tipica di questa dieta porta a una rilevante perdita di peso iniziale, così il suo abbandono farà registrare un rapido aumento di 1-2 kg solo da acqua e glicogeno.

Altro punto da contestare è quello relativo a quanto velocemente si perde peso, il classico concetto di “meglio una perdita lenta e graduale” che nella letteratura scientifica recente è stato fortemente ridiscusso. Inoltre questo approccio perde ogni valore nel caso in cui si sappiano gestire le cose durante, subito dopo e molto dopo una perdita repentina di peso, come detto poco sopra.

Introduzione

La dieta chetogenica nasce con l’intento di ridurre gli attacchi di epilessia nei bambini affetti da questo grave disturbo del sistema nervoso. Fu infatti osservato che il digiuno riduceva la frequenza degli attacchi, ma ovviamente non poteva essere supportato a lungo. Come fattore causale di questo fenomeno, fu indicato l’utilizzo dei corpi chetonici da parte del sistema nervoso centrale anziché del glucosio come fonte energetica principale. Come fare dunque a ‘simulare’ il digiuno pur introducendo calorie per il sostentamento e proteine per la crescita? La risposta fu la dieta chetogenica.

Anche nell’obesità la dieta chetogenica si è dimostrata un’arma vincente, dopo aver capito che il digiuno produceva grande perdita di peso con soppressione dell’appetito (i corpi chetonici hanno questo effetto). Poiché però il digiuno completo (che acqua, vitamine e sali minerali) portava ad un’eccessiva perdita delle proteine muscolari, per ottenere il miglior compromesso tra perdita di grasso e perdita di massa magra è stata ideata una dieta a base di sole proteine, acqua, vitamine e sali minerali: la Protein Sparing Modified Fast (PSMF), cioè digiuno modificato per il risparmio proteico. La PSMF è utile quando si deve ottenere una cospicua perdita di peso nel più breve tempo possibile.

A partire dai primi anni settanta la dieta chetogenica si è spostata dall’ambito clinico al mercato mondiale grazie al libro del Dottor Atkins Dr. Atkins Diet Revolution, ed al mondo dello sport grazie ai lavori di Michael Zumpano, Dan Duchaine, Mauro Di Pasquale e Lyle McDonald.

Il successo delle diete chetogeniche e alcuni malintesi

Il boom delle diete chetogeniche si è verificato quando sono ricomparse (la dieta chetogenica originale del Dottor Wilder è del 1921) anche in ambito clinico, intorno agli anni novanta. Nonostante una lunga silente attesa, la diffusione è stata dilagante probabilmente per la loro combinazione tra efficacia e facilità nel seguirle.

Rispetto alle diete classiche, spesso low-fat, le diete chetogeniche infatti permettono una scelta alimentare relativamente ampia, includendo alimenti che generalmente vengono considerati “non-dietetici” perché ricchi di grassi. Inoltre, a parità di calorie introdotte una dieta povera di carboidrati è più saziante; d’altronde è ben noto in letteratura che soggetti liberi di mangiare alimenti contenenti solo proteine e grassi ad libitum creano una restrizione calorica spontanea, cioè senza la necessità di contare le calorie (come approfondito nel dettaglio in Ad libitum dieting per perdere grasso).

Non bisogna tuttavia pensare che togliere i carboidrati faccia magicamente dimagrire: l’equazione “calorie in entrata vs. calorie in uscita” rimane valida. Semplicemente, mangiare proteine e grassi ad libitum fa si che il consumo calorico spontaneo sia inferiore rispetto a consumare una dieta libera completa di tutti i macronutrienti.

La seconda parte tratterà gli argomenti teorici alla base della chetogenesi e quelli utili per impostare una dieta chetogenica.

Riferimenti essenziali:

 

Parte 1Parte 2

  • Vincenzo Tortora

    Laureato come Dietista, docente e formatore per Nutrizionisti, Dietisti e Personal Trainer, consulente per attività operanti nel settore del Fitness. Sempre alla ricerca di strategie e soluzioni il più possibile praticabili e sostenibili per l’amatore e l’appassionato, sostiene un approccio mirato e concreto, dritto al punto. Su questa direzione gestisce i progetti della realtà “Oukside”.

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