L’errata generalizzazione sui dolcificanti

Quando si parla con le persone senza neppure un’infarinatura sui dolcificanti tutte reagiscono più o meno allo stesso modo con pregiudizi e luoghi comuni, etichettando l’intera categoria come nociva e addirittura peggio dello zucchero.

Come se bypassare i problemi dello zucchero (comunque relativi al contesto) fosse troppo bello per essere vero, quindi scatta in automatico il ragionamento “si, non hanno calorie però fanno malissimo…”, anche se non hanno alcuna conoscenza in merito.

I più profani si potrebbero sorprendere che la categoria non abbia calorie, finendo per elaborare la tesi complottista secondo cui avrebbero calorie ma “non lo dicono”. In realtà, non solo le prove sull’assenza di valore calorico (o di un valore minimo e irrilevante) sono ovviamente solide, ma anche i vantaggi per la perdita di peso in confronto alle bibite zuccherate nella ricerca sono ben documentati (2,3).

La generalizzazione indebita

Una delle fallacie più comuni sulla questione è la generalizzazione indebita, cioè generalizzare gli effetti di questa macrocategoria su vari aspetti della salute. Ammettendo anche che alcuni si possano ritenere controversi, è semplicemente un errore logico credere che lo siano tutti indistintamente solo perché rientrano in un’etichetta generica, accomunati dal solo fatto di non apportare calorie. Una recente review di Hunter et al. (2019) lo faceva bene presente: (3)

“Si crede spesso che tutti i [dolcificanti] suscitino le stesse risposte sensoriali, processi fisiologici e comportamenti. Pertanto, negli studi e nelle raccomandazioni sono spesso raggruppati come [un’unica] entità. Tuttavia, ogni [dolcificante] ha una propria struttura chimica che influenza il suo metabolismo e altri effetti a valle, rendendo [ognuno di essi] unico nella sua potenziale influenza su appetito, assunzione di cibo e [peso corporeo].

[…] I [dolcificanti] possono avere diversi effetti comportamentali e fisiologici mediati dai recettori del gusto dolce, con ormoni intestinali, attraverso l’attivazione cerebrale, sul microbiota e sulle sensazioni appetitive […]. Ulteriori chiarimenti sugli effetti unici dei diversi [dolcificanti] disponibili in commercio possono avere importanti implicazioni per le raccomandazioni sul loro uso per diversi esiti sulla salute.”

Linee guida e esempi

Come si evince da questo grafico, i dolcificanti possono avere dei limiti di sicurezza anche molto diversi tra loro, ma questo è solo un esempio di come non si possa generalizzare. Anche tra due dolcificanti con gli stessi limiti di sicurezza, uno può essere più controverso dell’altro, o paradossalmente, dolcificanti con limiti di sicurezza superiori possono essere più controversi, come il caso del sucralosio o del acesulfame K in confronto alla stevia (4).

Inoltre, questa ampia classe andrebbe suddivisa nei dolcificanti artificiali e nei dolcificanti naturali. Questi ultimi, che includono stevia, monk fruit, polioli (o polialcoli), e zuccheri rari (come lo psicosio), sono stati proposti da alcuni come migliori alternative rispetto ai dolcificanti artificiali per i diabetici (4). Ma la questione è tutt’altro che chiara e non è detto che tutti i dolcificanti naturali siano a prescindere migliori di quelli artificiali (come ci indurrebbe a pensare la fallacia ad naturam), fornendo un ulteriore esempio di come il loro impatto sulla salute non si possa generalizzare.

Conclusioni

Il messaggio fondamentale è che sui dolcificanti non si può generalizzare, quindi se qualche autorità o presunta tale afferma che “i dolcificanti fanno male” tende a tradirsi, dimostrando una scarsa competenza sull’argomento o peggio, anche un tipico fanatismo alimentare.

Al contrario, se un’autorità specifica delle distinzioni tra i vari tipi di dolcificanti circa gli effetti sulla salute, questo dimostra maggiore competenza, equilibrio, uso della logica e una più probabile estraneità al fanatismo.

Importante in questo caso è anche contestualizzare l’utilizzo. Come si comprende dalle linee guida, l’impatto dei dolcificanti non dipende solo dalla tipologia tra i numerosi esistenti, ma anche dalle quantità e dalla frequenza con cui li si assume. Solo una volta compresi questi principi logici fondamentali, si può passare a valutare la complessa questione dell’impatto dei diversi dolcificanti sulla salute.

Riferimenti:

  1. Rogers PJ, Appleton KM. The effects of low-calorie sweeteners on energy intake and body weight: a systematic review and meta-analyses of sustained intervention studies. Int J Obes (Lond). 2021 Mar;45(3):464-478.
  2. McGlynn ND et al. Association of low- and no-calorie sweetened beverages as a replacement for sugar-sweetened beverages with body weight and cardiometabolic risk: a systematic review and meta-analysis. JAMA Netw Open. 2022 Mar 1;5(3):e222092.
  3. Hunter SR et al. Low calorie sweeteners differ in their physiological effects in humans. Nutrients. 2019 Nov 9;11(11):2717.
  4. Mejia E, Pearlman M. Natural alternative sweeteners and diabetes management. Curr Diab Rep. 2019 Nov 21;19(12):142.
  • Lorenzo Pansini

    Lorenzo Pansini è natural bodybuilder, formatore, personal trainer e divulgatore scientifico specializzato in nutrizione sportiva (ISSN-SNS) e allenamento per il miglioramento fisico. Con oltre 10 anni di esperienza attiva nella divulgazione scientifica, è stato per anni referente tecnico per l'azienda leader Project inVictus con vari ruoli, e richiesto da altre importanti realtà del settore nazionale. È autore per testi e riviste di settore, come Alan Aragon's Research Review, redatta dal ricercatore e nutrizionista americano Alan Aragon.

2 risposte

    1. Ciao Antonio. Ti dirò, il ciclammato è meno discusso rispetto ad altri dolcificanti, e non mi sembra di notarlo molto nei prodotti dolcificati. Quelli più comuni sono sucralosio, aspartame, acesulfame-K e diversi altri, forse perché il ciclammato è più oggetto di controversie, ma ammetto di non avere molto approfondito la cosa perchè come immagini, la questione è molto ampia.

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