Nei programmi formativi dell’istruttore e personal trainer proposti da molte scuole di fitness nazionali, da diversi anni sono stati diffusi i cosiddetti biotipi articolari, dei modelli costituzionali che permetterebbero all’operatore di riconoscere le predisposizioni del soggetto, e quindi gli esercizi con sovraccarichi per il quale esso può o meno essere adatto.
Ci si può fare un’idea della teoria sui biotipi articolari con alcuni articoli pubblicati su my-personaltrainer.it (qui e qui) o su palestratos.it (qui). Sarà scopo di questo articolo critico approfondire la teoria dei biotipi articolari per verificarne l’origine e il fondamento.
Indice
Introduzione
Nei corsi di formazione per istruttore e personal trainer sembra si faccia molto affidamento sull’allenamento personalizzato sulla base delle caratteristiche individuali del soggetto. Parte di queste premesse sono comprensibili date le diverse necessità e predisposizioni del singolo, tuttavia queste potrebbero essere portate all’estremo e riconosciute anche nei casi in cui non vi siano, in parte per convincere dell'”esclusività” del materiale proposto ai corsi, in parte per far percepire al cliente un maggiore valore al servizio di personal training.
Ecco che l’allenamento personalizzato sulla base di alcune caratteristiche del soggetto potrebbe spesso rivelarsi una forzatura basata su teorie che nella pratica non avrebbero completamente valore, e il cui riconoscimento potrebbe essere in parte legato a scopi prettamente commerciali.
Alcune scuole di fitness hanno iniziato infatti a promuovere l’allenamento e l’alimentazione personalizzati sulla base dell’appartenenza ai tipi di costituzione o di distribuzione del grasso corporeo.
Sono stati proposti i programmi specifici per i somatotipi di William Sheldon (endomorfo – mesomorfo – ectomorfo) o per i fenotipi di Jean Vague (androide – ginoide).
Spesso però non viene considerato che le teorie sull’allenamento e l’alimentazione personalizzate per questi modelli costituzionali hanno spesso origine extra-scientifica, e non sembra pertanto esistere una letteratura scientifica che le possa avvalorare.
Ma se i somatotipi di Sheldon e i fenotipi di Vague sono perlomeno riconosciuti ufficialmente dalla comunità e dalla letteratura scientifica da decenni, lo stesso non si può dire per un’ulteriore classificazione diffusa da alcune scuole di fitness sul territorio esclusivamente nazionale: si tratta dei cosiddetti biotipi articolari definiti trapezioidale e clavicolare, la cui origine rimane ignota.
I biotipi articolari
I biotipi articolari fanno riferimento a due modelli di struttura muscolo-scheletrica del torso diametralmente opposti per i quali sarebbero indicate delle strategie di allenamento con sovraccarichi diversificate.
Tale diversificazione riguarda il principio della selezione degli esercizi per stimolare la parte superiore del corpo, asserendo che alcuni esercizi sarebbero inadeguati o addirittura controproducenti per il biotipo specifico, mentre altri sarebbero più produttivi per sviluppare dati gruppi muscolari o per prevenire infortuni.
Il sospetto è che una tale diversificazione dell’allenamento basato sul biotipo articolare potrebbe risultare forzata, portando all’errore di far coincidere a tutti i costi le caratteristiche di un soggetto con quelle di un modello standardizzato a causa di un’interpretazione troppo letterale e in “bianco e nero” della teoria proposta.
Di seguito sono descritte le caratteristiche e le teoriche predisposizioni attribuite a questi due biotipi estrapolate da alcune dispense fornite ai corsi fitness e da alcuni siti internet, il cui contenuto è a sua volta basato sul materiale proposto da diverse scuole di fitness nazionali. Non è noto chi abbia introdotto questi modelli, ma sembra che nel ambiente fitness italiano si sia iniziato a parlarne solo alla fine degli anni 2000 dato che sul web, le prime tracce cominciano ad apparire nel 2008.
I piani anatomici
Prima di approfondire i due modelli costituzionali è fondamentale avere chiari i tre piani anatomici rappresentati nella figura sopra a sinistra:
- Il piano sagittale è un piano che decorre in senso antero-posteriore e divide un corpo in due parti, destra e sinistra;
- Il piano frontale (detto anche coronale) è un piano che corre parallelo alla fronte;
- Il piano trasversale (detto anche trasverso, orizzontale o assiale) taglia il corpo in due metà, una superiore e una inferiore;
Biotipo clavicolare
Per come descritto, il biotipo clavicolare ha una struttura scheletrica costituita da torace piatto ed espanso sul piano frontale, da clavicole lunghe e quindi da spalle larghe. La conseguenza è che il gran pettorale, il gran dorsale e il trapezio superiore sono più appiattiti ed estesi, apparendo carenti. Il gran dorsale e il gran pettorale in realtà sarebbero carenti in spessore ma avvantaggiati in ampiezza, grazie ad un’inserzione più esterna sull’omero. I deltoidi e i tricipiti sarebbero per natura più sviluppati, mentre i bicipiti risulterebbero carenti.
Il biotipo clavicolare avrebbe maggiore facilità ad eseguire esercizi sul piano frontale e difficoltà ad eseguirli sul piano sagittale. Questa considerazione varrebbe solo per il gran dorsale, in quanto gran parte degli esercizi dedicati al gran pettorale si muove sul piano trasverso e non su quello sagittale.
Si sostiene quindi che il clavicolare sia più portato ad eseguire le trazioni a presa larga (pull-up o lat machine larga) rispetto ai rematori o alle trazioni a presa stretta (chin-up o lat machine stretta). A causa della scarsa profondità della cassa toracica sul piano sagittale e di una maggiore mobilità della spalla in estensione, si creerebbe un limitato stiramento dei muscoli pettorali nell’esecuzione della panca piana con bilanciere. Questo finirebbe per sollecitare maggiormente i muscoli deltoidi anteriori e i tricipiti, già predisposti ad un forte sviluppo.
Per questo il soggetto dovrebbe optare per esercizi alternativi alla classica panca piana con bilanciere, come le spinte con manubri o le croci, in quanto il bilanciere limita molto l’iperestensione della spalla e quindi il massimo stiramento del gran pettorale. La scelta delle croci apparirebbe particolarmente sensata grazie all’esclusione dei tricipiti, già avvantaggiati.
Sintesi delle caratteristiche:
- Clavicole lunghe e spalle larghe;
- Cassa toracica poco profonda sul piano sagittale ;
- Gran dorsale carente in spessore ma sviluppato in larghezza;
- Petto tendenzialmente piatto perché più esteso;
- Trapezio superiore carente perché più esteso;
- Tricipiti e deltoidi particolarmente sviluppati;
- Bicipiti carenti;
- Tendenza cifotica;
- Ampia mobilità del cingolo scapolo-omerale in iperestensione e extrarotazione;
Biotipo trapezioidale
La descrizione del biotipo trapezioidale corrisponde a una struttura scheletrica opposta a quella del clavicolare, con torace profondo sul piano sagittale, clavicole corte e quindi spalle strette. A livello muscolare questo favorirebbe un particolare sviluppo di gran pettorale e gran dorsale in spessore. Questi muscoli sarebbero carenti in larghezza a causa della loro inserzione sull’omero più accentrata rispetto a quella del biotipo clavicolare.
I fasci superiori del trapezio appaiono per natura sviluppati, conferendo una conformazione delle spalle tendenti allo spiovente, o appunto “trapezioidale”. Si sostiene inoltre che il trapezioidale sia predisposto ad un maggiore sviluppo dei bicipiti e che sia invece svantaggiato nello sviluppo dei deltoidi.
Questo biotipo avrebbe maggior facilità a muoversi sul piano sagittale ritrovandosi in difficoltà sul piano frontale a causa della scarsa mobilità dell’articolazione scapolo-omerale in estensione ed extrarotazione. Questo gli impedirebbe di eseguire efficientemente, o semplicemente di esprimere forza sufficiente, su esercizi come la lat machine a presa larga (o i pull-up), o in movimenti sul piano frontale dietro la testa quali il lento dietro e la lat machine dietro il collo.
Esso si ritroverebbe più portato per gli esercizi per il gran dorsale eseguiti sul piano sagittale, ovvero i rematori e la lat machine a presa stretta (o i chin-up). Per quanto riguarda il piano trasversale, il trapezioidale non avrebbe difficoltà ad adattarsi a qualsiasi esercizio dedicato al gran pettorale. Presentando un torace profondo e le clavicole corte, ciò comporta una distanza più ridotta tra sterno e omero (e quindi tra origine e inserzione del gran pettorale), a favorire un più facile e immediato stiramento del gran pettorale. Questa sembrerebbe essere la conformazione tipica di un panchista di powerlifting.
Sintesi delle caratteristiche:
- Clavicole corte e spalle strette;
- Torace profondo;
- Gran pettorale spesso e ben sviluppato;
- Trapezio superiore sviluppato e spiovente;
- Gran dorsale spesso ma carente in larghezza;
- Bicipiti sviluppati;
- Deltoidi carenti;
- Scarsa mobilità scapolo-omerale in extrarotazione e iperestensione;
- Tendenza all’anteroversione della spalla dovuta all’accorciamento degli intrarotatori;
Controversie
I cosiddetti biotipi articolari non esistono nella letteratura scientifica internazionale. Questi sono probabilmente frutto delle osservazioni di alcuni tecnici di fitness nazionali, che li hanno codificati e poi proposti nei programmi dei corsi per istruttori e personal trainer in modo da facilitare l’individuazione delle caratteristiche del cliente.
Per quanto questa codificazione possa rivelarsi in un certo modo utile nella pratica per intravedere alcune possibili predisposizioni del soggetto, non può essere letta troppo letteralmente o presa come verità indiscussa, a maggior ragione perché non si tratta di classificazioni di origine scientifica.
Le conseguenze sono ben evidenti negli articoli proposti su internet o nelle dispense stesse fornite ai corsi. Sembrerebbe che un dato biotipo debba preferire l’utilizzo di certi esercizi e scartarne altri, come a lasciar intendere che alcuni di questi siano più adatti per sviluppare al meglio la massa muscolare e prevenire eventuali infortuni, mentre altri non siano capaci di garantire dei miglioramenti paragonabili o espongano a maggiori rischi. Questo esulerebbe da una valutazione personalizzata nel vero senso del termine, dove si capirebbe cosa effettivamente il soggetto è più o meno portato a fare, indipendentemente dalla presunta appartenenza ad un biotipo specifico.
Può essere facile che un soggetto con una conformazione riconoscibile in uno dei due biotipi non presenti tutte le predisposizioni che vengono attribuite al modello standard di riferimento. Cosa altrettanto importante, questo porterebbe a evitare completamente alcuni esercizi con l’idea errata che “non sono adatti per quel biotipo”, quando basterebbe migliorare la mobilità articolare e lo schema motorio, e adattare l’esercizio alla propria conformazione secondo il normale percorso di apprendimento, crescita e personalizzazione.
Conclusioni
I biotipi articolari potrebbero essere semplicemente presi come dei modelli standardizzati di riferimento da cui dovrebbe essere più facile, in teoria, prevedere alcune caratteristiche articolari e particolari predisposizioni, ma non possono sostituirsi ad un’accurata analisi personalizzata del soggetto.
Il rischio è infatti che il messaggio venga proposto all’operatore – o semplicemente da egli recepito – in maniera troppo letterale, assolutista e dicotomica (bianco e nero), con la conseguenza di precludere al cliente (o a se stesso) la scelta di molti esercizi che sarebbe capace di eseguire efficientemente o con cui di fatto non correrebbe alcun rischio particolare.
La probabile lettura di queste teorie in chiave dicotomica verrebbe ulteriormente aggravata dall’atteggiamento eccessivamente precauzionale – il fenomeno della cosiddetta “medicalizzazione del fitness” – caratteristico dei neo-diplomati o degli operatori con una scarsa esperienza pratica nell’allenamento con i pesi.
Un ulteriore problema della teoria dei biotipi articolari riguarda il fatto che i suggerimenti forniti per la selezione degli esercizi rimangono troppo spesso arbitrari e molto discutibili dal punto di vista anatomico e biomeccanico. Alcune indicazioni infatti sembrano essere frutto delle idee arbitrarie e discutibili, oppure si basano considerazioni errate che necessitano di una corretta rilettura. Questo ad ulteriore supporto del fatto che i biotipi articolari vadano interpretati con estrema cautela e non in maniera letterale, anche se non per questo devono essere ignorati.