In questa review del 2018 Pickering & Kiely trattano dell’argomento ricorrente non-responders per l’attività fisica (1).
Non-responder è un termine usato in ambito scientifico di solito per identificare quei soggetti che non rispondono a un trattamento, come la somministrazione di un farmaco, di un integratore o di un protocollo di allenamento.
In questo caso si intendono identificare in soldoni quei soggetti che non ottengono buoni risultati con l’attività fisica svolta con criterio (sia in termini performance che di salute), ma che addirittura possono accusare un peggioramento.
Nell’ambito del bodybuilding e della composizione corporea i non-responder sono quelli che non ottengono una buona crescita muscolare, oppure quelli che non riescono a dimagrire (perché compensano inconsciamente mangiando di più e/o riducendo l’attività non-sportiva).
I ricercatori qui criticano fortemente il concetto di non-responder, sostenendo che in realtà questa terminologia andrebbe rivista:
“[…] potremmo affermare più correttamente che le persone “non hanno risposto” a un particolare intervento per un dato parametro invece di etichettarle come “non-responder”, perché sembra probabile che un diverso programma di allenamento (in termini di intensità, volume, durata o modalità) susciterebbe una risposta positiva.
Ciò è simile alle idee di Booth e Laye, i quali credevano che il termine “non-responder” dovesse essere sostituito da “bassa sensibilità”; in questo caso, questi individui a bassa sensibilità richiedono semplicemente maggiori volumi e/o intensità per ottenere una risposta favorevole.
Indubbiamente questa è una buona notizia, visti i benefici ad ampio spettro dell’esercizio sulla salute e sul benessere; tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per identificare il modo ottimale per allineare le persone al tipo di allenamento più adatto per provocare i maggiori adattamenti, specialmente considerando il tempo limitato che molte persone credono di avere a disposizione per allenarsi, insieme alle preoccupazioni sull’applicabilità delle maggiori intensità di allenamento per tutti gli utenti.
Inoltre, le ricerche future dovrebbero concentrarsi sull’individuazione di coloro che ci si aspetta presentino una risposta inferiore all’attività fisica, in modo che possano ricevere un intervento di allenamento alternativo e più efficace.”
Quindi il fatto che un soggetto risponda scarsamente a un approccio di allenamento o di alimentazione, non significa per forza che sia negato. Piuttosto, le risposte potrebbero essere molto migliori con un approccio personalizzato.
Il problema è che non si può ben sapere l’approccio ideale e perfetto per il singolo, quindi nel dubbio si applica lo “shotgun approach”, cioè, si applicano varie metodologie che hanno un criterio e che si sa che funzionano in senso generale, e poi si cerca di capire quale tra queste funziona meglio per lui.
I ricercatori propongono che chi non risponde dovrebbe aumentare il volume o l’intensità. Anche se questo può essere vero per l’amatore che fa fitness e che crede di applicarsi a sufficienza ma non lo fa, non si può escludere che per un allenato possa essere il contrario, ad esempio limitando o riorganizzando gli stressor invece di aumentarli.
Nella ricerca sull’ipertrofia è stato infatti osservato come alcuni soggetti rispondano a più bassi volumi e frequenze (2), confermando come non sempre la chiave sia da ritrovare in un aumento degli stressor. Inoltre, il fatto che una adeguata personalizzazione possa permettere di ottimizzare le risposte a un trattamento non esclude che esistano alcune persone meno portate per ottenerle in generale.
Riferimenti:
- Pickering C, Kiely J. Do non-responders to exercise exist-and if so, what should we do about them? Sports Med. 2019 Jan;49(1):1-7.
- Schoenfeld BJ. Science and Development of Muscle Hypertrophy. Human Kinetics. 2016. pp. 107.