I miti del cortisolo (parte 2): effetti del digiuno e dei pasti

Nella prima parte sono state poste le basi per comprendere a grandi linee alcune delle principali funzioni del cortisolo. 

In questa seconda parte si offrirà una panoramica generale sul suo ruolo nel digiuno a breve e a lungo termine, sulla sua relazione con la resistenza insulinica, sulla teoria del catabolismo provocato dal saltare la prima colazione (breakfast skipping), e sulla sua relazione con la frequenza dei pasti.

Cortisolo nel digiuno a lungo termine (starvation)

Il livelli di cortisolo dimostrano un incremento fisiologico nel digiuno prolungato (starvation) per mantenere stabile la glicemia. Durante il digiuno esistono essenzialmente due classi di ormoni controregolatori, con funzione catabolica e glicemizzante: (1)

  • gli ormoni ad azione rapida: catecolammine (adrenalina e noradrenalina) e glucagone;
  • gli ormoni ad azione lenta: somatotropina (GH) e cortisolo;

Essendo ormoni ad azione lenta, cortisolo e GH normalmente agiscono in sinergia nelle fasi avanzate del digiuno, ma glucagone e catecolammine hanno un ruolo generalmente più importante nell’azione controregolatoria intervenendo più rapidamente (1).

Essendo il cortisolo un ormone controregolatorio ad azione lenta, il suo ruolo durante il digiuno prolungato appare rilevante solo nelle fasi avanzate del digiuno, elevandosi soprattutto quando i livelli glicemici crollano al di sotto dei 55 mg/dL (2,3), quando la soglia minima di euglicemia è attorno ai 60 mg/dL (1) e dopo il digiuno notturno si colloca a circa 70 mg/dL (4). La glicemia a livelli di 55 mg/dL nell’uomo normalmente risulta appena dopo 24 ore di digiuno, anche se nelle donne può essere più bassa (1) (qui una panoramica di base sulla glicemia).

Nel digiuno prolungato GH e cortisolo hanno un effetto sinergico per risparmiare glucosio, stimolando il rilascio di acidi grassi liberi (FFA) dal tessuto adiposo (lipolisi), la conversione epatica del glicerolo in glucosio (gluconeogenesi) e, soprattutto se il glicogeno epatico è esaurito, la produzione epatica di corpi chetonici (chetogenesi) (vedi gli step della keto-adaptation). Tutto questo creando complessivamente uno stato di resistenza insulinica fisiologica (descritta qui); entrambi gli ormoni hanno infatti le proprietà di creare resistenza insulinica, fenomeno che si manifesta durante il digiuno prolungato proprio con lo scopo di risparmiare glucosio (ricavato in parte dagli aminoacidi) per il cervello (1,5,6).

In conclusione il cortisolo ha certamente un ruolo proteolitico, ma la sua elevazione durante il digiuno molto prolungato è più spiccata dopo molte ore di digiuno (circa 24), e può favorire indirettamente il risparmio proteico creando insulino-resistenza fisiologica.

Catabolismo cortisolo-indotto: fasting vs starvation

L’aspetto controverso o poco chiaro sul ruolo proteolitico del cortisolo durante il digiuno protratto, è quanto questo effetto possa essere rilevante in presenza di adeguate scorte di glicogeno epatico, cioè praticamente l’unica fonte endogena di carboidrati sfruttabile dai tessuti.

Il glicogeno epatico può provvedere a fornire glucosio per una media approssimativa di 24 ore di digiuno o di privazione di carboidrati (7), e questa è una delle differenze fondamentali tra il “fasting” e lo “starvation”.

Nel primo periodo di digiuno (fasting) si dispone ancora di glicogeno epatico (se la dieta apporta sufficienti carboidrati), ma non nel digiuno prolungato (starvation): dopo circa 24 ore questa scorta viene esaurita (di meno se si è attivi) e i livelli glicemici scendono alla soglia critica (55 mg/dL) (1) necessaria per provocare un aumento dei livelli di cortisolo (2,3). Il resto dei dettagli sulle differenze tra “fasting” e “starvation” e le presunte relazioni col catabolismo muscolare sono state spiegate nell’articolo Catabolismo muscolare nel digiuno intermittente.

Questo può significare che la presenza di glicogeno epatico nella prima fase di digiuno possa contenere l’aumento delle richieste di glucosio dalle proteine strutturali (aminoacidi endogeni), e non a caso in questo primo periodo il cortisolo non assume un ruolo importante come ormone controregolatorio. Come si vedrà in seguito, anche 20 ore di digiuno croniche nel contesto di una dieta di mantenimento non portano a una perdita di massa magra. Mentre nel contesto ipocalorico anche 22 ore di digiuno non portano a una maggiore perdita di massa magra rispetto ad una distribuzione dei pasti più uniforme nelle 24 ore.

Fare colazione per prevenire il catabolismo cortisolo-indotto?

Come spiegato nella prima parte, il picco circadiano (zenith) del cortisolo avviene di mattina (8). Il picco si manifesta in particolare poco dopo il risveglio, un evento riconosciuto come cortisol awakening response (CAR), tradotto come risposta del cortisolo al risveglio.

Il solo gesto di svegliarsi stimola la secrezione di ACTH nell’ipofisi, che a ruota stimola la secrezione di cortisolo da parte delle surrenali (9). Questo picco circadiano aiuta a soddisfare le richieste energetiche necessarie per muoversi e affrontare la giornata, stimolando la produzione epatica di glucosio.

Poiché al risveglio i livelli del cortisolo sono naturalmente elevati e si viene da un periodo di digiuno notturno in cui il metabolismo fa affidamento su substrati energetici endogeni (soprattutto grassi), nella letteratura extra-scientifica si è spesso teorizzato che in questo momento della giornata sia necessario assumere del cibo per prevenire il catabolismo del tessuto muscolare. Il caratteristico ruolo proteolitico del cortisolo, combinato con l’assenza di cibo per alcune ore, porterebbe a dare per scontato che di prima mattina il tessuto muscolare sia particolarmente esposto ad un rischio di degradazione.

Per prevenire questo effetto sarebbe necessario assumere del cibo il prima possibile. Un’altra idea è spesso espressa è che saltando la colazione (breakfast skipping) ed evitando di mangiare per molte ore dopo il risveglio i livelli di cortisolo subiscano complessivamente un incremento nelle 24 ore, portando a effetti avversi come appunto, una perdita di massa magra.

Evidenze su breakfast skipping e catabolismo della massa magra

In primo luogo saltare la colazione e non mangiare per molte ore non dimostra un ulteriore aumento dei livelli di cortisolo, e non altera i suoi ritmi circadiani (10). Anche gli studi su Ramadan mostrano che questa pratica (mangiare solo nelle ore di buio) non altera i livelli di cortisolo nelle 24 ore (11,12).

Cosa più importante, un’analisi attenta degli studi controllati rivela che, a parità di dieta, chi salta la colazione non perde massa magra/muscolare. Emblematici sono i vari studi sul time-restricted feeding (TRF), un tipo di digiuno intermittente che impone di alimentarsi all’interno di una ristretta finestra di tempo, di solito tra le 4 e le 8 ore.

In tutti questi studi il pattern alimentare prevedeva sempre di saltare la prima colazione e mangiare solo nelle ore pomeridiane/serali (in alcuni di questi il TRF era seguito a giorni alterni – 14,15), e questo non ha portato in nessun caso a una perdita di massa magra o di muscolo rispetto al pattern tradizionale con prima colazione (13-16). Interessante notare che uno di questi studi è stato condotto su bodybuilder ben allenati, dimostrando addirittura una tendenza ad un aumento della massa muscolare in 2 mesi pur mangiando solo tra il pranzo e la cena, e pur subendo un lieve incremento dei livelli di cortisolo (16).

Un ulteriore studio ha mostrato che saltare la colazione digiunando 22 ore al giorno, in una dieta ipocalorica, non portasse a una maggiore perdita di massa magra rispetto ai pasti distribuiti con prima colazione (10). Molti altri studi sul Ramadan mostrano che questo non porti a un decremento della massa magra rispetto alla normale alimentazione (12,17,18), sebbene questo pattern si allontani nelle normali abitudini alimentari delle persone.

In conclusione, emerge che il picco circadiano del cortisolo dopo il risveglio non rappresenti di per sé un rischio di perdere massa muscolare in maniera indipendente dalla dieta, e non vi sarebbe pertanto la necessità di mangiare in questo periodo col solo scopo di prevenirne il catabolismo netto.

L’origine di questa ipotesi semplicistica è probabilmente basata sul dare per scontato che 1) il cortisolo sia sempre proteolitico in qualsiasi contesto, 2) che la proteolisi interessi per forza il tessuto muscolare, 3) che la proteolisi acuta sia un marker della perdita di massa magra/muscolare. Nessuno di questi punti, evidentemente, potrebbe essere usato come indizio per predire le variazioni della massa magra e muscolare sul lungo periodo.

Cortisolo e resistenza insulinica

Come accennato in precedenza, una delle funzioni fisiologiche del cortisolo è quella di instaurare resistenza insulinica (1,8). Durante il digiuno prolungato questo ha lo scopo di risparmiare glucosio e aminoacidi di origine endogena, ma non è detto che un aumento dei livelli di cortisolo sia sempre associato ad uno stato di insulinoresistenza fisiologica.

Ad esempio, la prima mattina risulta il momento in cui effettivamente avviene il picco circadiano del cortisolo, ma anche il periodo in cui è presente la maggiore sensibilità insulinica nel corso della giornata (8).

Ciò nonostante, la risposta insulinica è più elevata nel primo pasto della giornata, e si è speculato che questo sarebbe dovuto almeno in parte al picco mattutino del cortisolo (19). In realtà i motivi per cui questo avviene possono essere spiegati da altri meccanismi indipendenti dall’ormone, come l’effetto Staub-Traugott (già citato in Analisi dell’indice glicemico – parte 1).

Questo un meccanismo fisiologico spiega che l’aumento della glicemia in risposta ad un carico di glucosio è maggiore se assunto a digiuno che non se assunto dopo una precedente ingestione di carboidrati. In altri termini a digiuno la tolleranza ai carboidrati è minore che non dopo aver già assunto una fonte di carboidrati precedente (20), ma questo fenomeno sarebbe indipendente dai livelli di cortisolo.

Anche durante l’esercizio fisico viene rilasciato il cortisolo, e questo avviene, ad esempio, in proporzione all’intensità (21). Tuttavia, durante l’attività fisica anche la sensibilità insulinica subisce un importante incremento acuto dovuto alla contrazione muscolare e alla deplezione del glicogeno, incremento che perdura per diverse ore post-esercizio (22) (argomento affrontato ad esempio in Carboidrati post-workout: perché no?). In conclusione gli aumenti del cortisolo non creano per forza resistenza insulinica fisiologica, e nella normalità sembrerebbe al contrario che coincidano con le fasi in cui la sensibilità insulinica è aumentata.

Cortisolo e frequenza pasti

Una delle varie teorie sul cortisolo suggerisce che i pasti frequenti contribuiscano a “tenere a bada” l’ormone steroideo (23,24). Alcuni autori asseriscono che i pasti frequenti e gli spuntini tra i pasti principali controllino il cortisolo, senza però fornire chiare prove a supporto di questa idea (23,24).

Paradossalmente, diverse evidenze scientifiche osservano che l’assunzione di cibo possa aumentare i livelli di cortisolo invece di sopprimerlo (25,26,27). Pare che ciò possa essere dovuto al fatto che mangiare rappresenta uno stressor fisiologico (26), anche se questa risposta può dipendere dalla composizione del pasto (25) (argomento approfondito nella parte 3).

Le ricerche controllate sulla relazione tra frequenza pasti e cortisolemia sembrano piuttosto scarse. In una di queste è stato osservato che con una dieta di mantenimento i soggetti che assumevano due pasti al giorno (saltando la colazione) in sei settimane persero più peso e grasso corporeo, e guadagnarono più massa magra, rispetto a chi consumava 3 pasti con colazione (13).

Curiosamente, i soggetti che assumevano 2 pasti saltando la colazione registrarono un maggiore decremento dei livelli di cortisolo (48.9%) rispetto al gruppo che assumeva tre pasti al giorno più distribuiti e con colazione (13). Un altro studio diede invece risultati contrastanti, registrando un maggiore decremento del cortisolo nel gruppo che consumava 17 pasti al giorno rispetto al gruppo che ne consumava 3, in due settimane (28). Questa frequenza dei pasti è però irrealistica, e rende tali dati totalmente inapplicabili nel mondo reale.

In conclusione, rimane incerto l’impatto della frequenza dei pasti sui livelli di cortisolo. Non sembra che una frequenza pasti più elevata, all’interno della normalità, sopprima questo ormone, mentre esistono indizi sul fatto che 1) una frequenza pasti rarefatta possa diminuirne i livelli nelle 24 ore, e che 2) mangiare possa elevare i livelli di cortisolo in acuto. Tuttavia è necessario tenere presente che queste variazioni ormonali non potrebbero predire le variazioni della composizione corporea o dei parametri di salute, e la loro alterazione potrebbe essere molto più influenzata dalla composizione della dieta, dall’apporto calorico e da altre importanti variabili.

Parte 1Parte 3

Riferimenti:

  1. Joslin EP, Kahn CR. Joslin’s diabetes mellitus. Lippincott Williams & Wilkins, 2005. pp. 1149
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  • Lorenzo Pansini

    Lorenzo Pansini è natural bodybuilder, formatore, personal trainer e divulgatore scientifico specializzato in nutrizione sportiva (ISSN-SNS) e allenamento per il miglioramento fisico. Con oltre 10 anni di esperienza attiva nella divulgazione scientifica, è stato per anni referente tecnico per l'azienda leader Project inVictus con vari ruoli, e richiesto da altre importanti realtà del settore nazionale. È autore per testi e riviste di settore, come Alan Aragon's Research Review, redatta dal ricercatore e nutrizionista americano Alan Aragon.

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