Una delle principali preoccupazioni di chi si allena con i pesi è il catabolismo muscolare (MPB, muscle protein breakdown), processo altrimenti detto proteolisi muscolare.
Ma la proteolisi è un processo sopravvalutato, e la letteratura scientifica non conferma queste teorie dalle conseguenze drammatiche.
L’articolo intende chiarire gli aspetti controversi, le basi fisiologiche e i falsi miti che ruotano attorno a questo processo metabolico soprattutto nel periodo che circonda la sessione di allenamento con i pesi (peri-workout).
Indice
Quando si perde massa muscolare?
Il catabolismo proteico muscolare netto (o proteolisi muscolare netta), si riferisce alla perdita di massa muscolare, che normalmente avviene in condizioni di scarsità energetica, glucidica o proteica. Ad esempio, nella dieta ipocalorica il muscolo viene esposto a catabolismo, anche se ciò avviene soprattutto se non si mantiene l’apporto proteico ad un livello adeguato per compensare la carenza energetica (come approfondito qui) (1).
Altre volte il rischio catabolico può essere provocato dalla scarsità di carboidrati. Sebbene le diete chetogeniche abbiano un effetto di risparmio proteico (2), la restrizione di carboidrati riduce le riserve di glicogeno, portando il muscolo ad aumentare il rilascio di alcuni amminoacidi per diverse funzioni, come l’approvvigionamento di substrati glucogenetici (per fonire glucosio ai vari tessuti) o anaplerotici (per fornire gli intermedi per ciclo di Krebs, in modo da ossidare completamente i grassi) (3). Anche la riduzione dei livelli di insulina si crede possa favorire il catabolismo muscolare grazie alla sua potente funzione anti-catabolica (4).
Più spesso il muscolo viene esposto a catabolismo se non vengano fornite le giuste quantità di proteine in rapporto al bilancio calorico: con un apporto normocalorico, per i soggetti non-sportivi il risparmio muscolare si ottiene con un apporto proteico minimo di 0.8 gr/kg/die (5), mentre nella dieta ipocalorica, per preservare la massa magra/muscolare i non-sportivi richiedono un aumento dell’apporto proteico rispetto a questi valori (attorno a 1.5 gr/kg/die) (1,6). Anche nella dieta ipercalorica la massa magra tende a ridursi se le proteine risultano inferiori a 0.8 gr/kg (7).
Catabolismo muscolare acuto
In questa sede si tratterà soprattutto del catabolismo durante o in prossimità della sessione di allenamento.
Il soggetto sportivo necessita di un aumento delle proteine rispetto al non-sportivo, per consentire non solo il risparmio muscolare, ma anche un aumento della muscolatura e un miglioramento della performance (1,8).
Le quantità di proteine ottimali stabilite dalle linee guida emanate da varie organizzazioni per chi si allena con i pesi ammontano almeno a 1.6 gr/kg/die (8), perlomeno quando la dieta è normo- o ipercalorica. Tuttavia, queste quantità non sono sufficienti per i soggetti allenati e magri che seguono anche una dieta ipocalorica, richiedendo in questi casi un sensibile aumento dell’introito proteico (anche superiore ai 2.5 gr/kg) (9,24).
Poiché la proteolisi muscolare aumenta nelle situazioni di stress fisico, è sempre stata prestata una particolare attenzione al timing in prossimità dell’allenamento, il cosiddetto peri-workout (10). La fase del peri-workout principalmente trattata sarà quella del intra-workout, cioè il periodo che si estende dall’inizio alla fine della sessione.
Cenni fisiologici
Gli amminoacidi che costituiscono il muscolo possono essere usati per fornire energia in maniera più o meno importante a seconda della circostanza. Il muscolo può ossidare 6-7 amminoacidi: leucina, isoleucina, valina (i BCAA), glutammato, asparagina, aspartato, e alanina (3,11).
L’ossidazione degli amminoacidi durante l’esercizio in genere avviene in maniera irrilevante, coprendo meno del 5% delle richieste energetiche totali in condizioni di digiuno (12). Queste percentuali non hanno quindi valore se vengano consumati dei nutrienti prima e/o durante l’esercizio, come accade nella maggior parte dei casi nel mondo reale. Esistono però circostanze in cui l’ossidazione degli amminoacidi può essere più che duplicata, coprendo attorno al 10% delle richieste energetiche (12).
Poiché nel muscolo l’esaurimento del glicogeno muscolare attiva l’enzima coinvolto nell’ossidazione dei BCAA (13), e in queste condizioni nel muscolo “i grassi bruciano al fuoco degli amminoacidi“ (14), la scarsità di glicogeno muscolare e di carboidrati porta il muscolo ad aumentare il rilascio dei BCAA strutturali.
Ciò avviene non solo per riforinire substrati glucogenetici (precursori del glucosio), ma anche per consentire il rifornimento degli intermedi del ciclo di Krebs e permettere la completa ossidazione lipidica in sede muscolare (funzione anaplerotica) (14,15).
Il catabolismo dei BCAA muscolari durante l’esercizio ha anche la funzione di donare azoto per sintetizzare glutammina e alanina (16); la prima tampona l’ammoniaca nel sangue derivata dal catabolismo degli amminoacidi, mentre l’alanina, oltre ad essere convertita a glucosio nel fegato (ciclo glucosio-alanina), viene utilizzata per formare urea (ciclo dell’urea) al fine di eliminare l’azoto derivante dagli amminoacidi, espellendolo tramite le urine (17).
Il catabolismo degli aminoacidi durante l’esercizio fisico è importante per tre motivi: (14)
- liberare energia durante l’esercizio al fine di supportare la contrazione muscolare;
- aumentare la disponibilità di intermedi del ciclo di Krebs (substrati anaplerotici) per sostenere il catabolismo di carboidrati e grassi;
- aumentare la disponibilità di precursori del glucosio (substrati gluconeogenetici);
Il catabolismo degli amminoacidi può rappresentare una fonte energetica anaerobica (18) ulteriore ai carboidrati e ai fosfati; l’aspartato, ad esempio, può essere fermentato a succinato o propionato (19). Quindi il MPB può avere un ruolo per fornire energia anche nelle attività anaerobiche, sebbene questo sembra essere sopravvalutato, specie in relazione alle attività con i pesi e di breve durata.
L’endurance prolungata provoca una maggiore ossidazione dei BCAA durante l’esercizio rispetto alle attività non di endurance (come i pesi), anche se questo può essere dovuto semplicemente alla maggiore durata, nonché al maggiore dispendio calorico a parità di tempo caratteristici delle attività di resistenza (20,21).
Infatti, mentre per la prestazione di endurance la supplementazione di BCAA (i principali amminoacidi sfruttati per questi processi) ha più probabilità di conferire dei benefici (22,23), per le attività con i pesi le evidenze sono molto più deboli (24). Inoltre, l’elevato consumo di proteine di alta qualità suggerito per gli atleti che si allenano con i pesi apporta già consistenti quantità di BCAA, attorno al 20% dell’apporto proteico (25); le quantità di BCAA ricavate dal solo cibo proteico possono ammontare anche 25-30 g/die (si veda questo articolo per approfondire).
L’ossidazione di BCAA durante l’esercizio sembra aumentare in maniera inversamente proporzionale al livelli di glicogeno muscolare, quindi un’elevata saturazione delle scorte e una breve durata dell’allenamento, possono garantire l’inibizione dell’ossidazione degli amminoacidi durante l’esercizio (13,26).
Lo storico studio di Lemon & Mullin (1980): commento critico
Nota: questa sezione è rivolta ai nerd che vogliono capire i dettagli dello studio e il perché le conclusioni non sono convincenti, quindi può essere saltata da chi vuole capire solo le estrapolazioni pratiche.
Quello di Lemon & Mullin del 1980 (12) è lo studio classico per trattare il catabolismo proteico nell’intra-workout. Da questo vengono estrapolati alcuni dati sul tasso di impiego energetico degli aminoacidi per ora durante l’esercizio (27-29), lasciando quasi intendere la loro valenza nel contesto generale dell’attività sportiva.
Si estrapola che durante l’attività fisica gli aminoacidi hanno fisiologicamente un ruolo marginale come substrato energetico, arrivando a coprire al massimo il 10% delle richieste energetiche, o circa 14 g di amminoacidi/ora (29). Ma lo studio presenta svariate limitazioni che non permettono di valutare il tasso di catabolismo muscolare realistico durante l’esercizio con i pesi, né se l’eventuale aumento dell’ossidazione degli amminoacidi porti a una perdita muscolare (29).
Lo studio analizzava le risposte di 6 soggetti ad un’ora di esercizio di endurance aerobica su cicloergometro a moderata intensità (61% VO2max) (12). Tralasciando il limitato numero di soggetti, le risposte metaboliche indotte dall’esercizio di endurance aerobica non potrebbero essere paragonate a quelle dell’esercizio con i pesi. La spesa calorica indotta da un’ora di aerobica sostenuta può essere, indicativamente, maggiore di oltre il 40% rispetto ad un’ora di pesi (30), e le stime sull’ossidazione amminoacidica risultano quindi falsate.
Una limitazione più rilevante è che i dati sul massimo impiego di amminoacidi per ora era basato su condizioni a digiuno e con glicogeno muscolare fortemente depletato (12), laddove il digiuno duplica il processo durante l’esercizio rispetto allo stato a stomaco pieno (28,29). Queste due circostanze combinate sono quindi in grado di enfatizzare il tasso di catabolismo degli amminoacidi, rendendo questi dati altamente sovrastimati e non validi in condizioni reali, neppure per il normale esercizio di endurance.
Il glicogeno muscolare con riserve depletate ammontavano a circa 40 mmol/kg (12), mentre un soggetto non sportivo che segue una dieta mista normale ha livelli attorno a 80-100 mmol/kg, e i soggetti sportivi che seguono una dieta mista presentano livelli più alti, intorno a 110-130 mmol/kg (31). Un atleta di endurance sotto dieta chetogenica (carboidrati 20 gr/die) raggiunge livelli di glicogeno ben superiori a quelli imposti nello studio di Lemon & Mullin, attorno ai 70 mmol/kg (32). Infine, anche se l’esercizio con i pesi in stile bodybuilding ricava circa l’80% dell’energia dai carboidrati di deposito, la deplezione del glicogeno muscolare con questo tipo di allenamento è perlopiù limitata al glicogeno del muscolo sollecitato (27).
Quindi i risultati di Lemon & Mullin appaiono troppo sovrastimati rispetto al tasso catabolico eventuale creato durante l’esercizio con i pesi. Quando le scorte di glicogeno muscolare non erano depletate, gli amminoacidi coprivano, a digiuno, appena attorno al 4.4% delle rischieste energetiche (12). L’esercizio con i pesi a digiuno è però una condizione rara, di solito evitata se si intende ottimizzare la crescita muscolare (28).
Alcuni autori sostengono che questo studio avesse sottostimato le proteine effettivamente utilizzate, perché l’escrezione di azoto tramite la sudorazione (che oggi è risaputo essere sostanziale) non era stata quantificata negli studi di quel periodo. Inoltre, la sottostima sarebbe stata dovuta anche al fatto che una considerabile quantità di azoto urinario avviene anche nelle ore dopo l’esercizio (35). Altri invece sottolineano una possibile sovrastima, perché non fu identificata la provenienza dell’azoto misurato (potenzialmente derivante da fonti non-contrattili o non-muscolari) (29).
Anche altri studi hanno confermato che i livelli di glicogeno muscolare siano determinanti nell’ossidazione degli amminoacidi durante l’esercizio (13,26), portando a concludere che l’allenamento affrontato in condizioni normali (a stomaco pieno e glicogeno muscolare non depletato) sia in grado di sopprimere il catabolismo e l’ossidazione degli amminoacidi muscolari durante l’esercizio.
Timing e peri-workout
Se nel digiuno a breve termine (8-10 ore) il contributo degli amminoacidi nell’approvvigionamento energetico durante l’esercizio è piuttosto scarso, questo contributo viene ulteriormente ridotto – se non annullato – a stomaco pieno. In queste circostanze vanno presi in considerazione due concetti fondamentali.
- Il timing, traducibile come “tempistica” o “calcolo del tempo”, si riferisce all’assunzione di determinati nutrienti in alcune fasi specifiche, normalmente in prossimità dell’esercizio; (27)
- Il peri-workout è un concetto simile e per certi versi interscambiabile, cioè il periodo di tempo che circonda la sessione di allenamento, e che include quindi le fasi pre-workout, intra-workout e post-workout; (10)
Il timing delle proteine nel peri-workout in passato era stato considerato da alcuni ricercatori un fattore intrinsecamente critico per massimizzare gli adattamenti e i guadagni muscolari, un’ipotesi però rimessa fortemente in discussione in anni recenti (10). Oggi si sostiene che sia molto più importante la quantità totale di proteine giornaliere rispetto al timing delle proteine nel peri-workout in sè (10). Anche la rilevanza del timing nell’immediato periodo post-workout (la cosiddetta “finestra anabolica”) è stata fortemente ridimensionata i irrilevante nella normalità (27).
Se si assumono nutrienti prima e/o durante l’esercizio, il timing dei nutrienti nell’immediato post-allenamento non risulta importante come a digiuno, poiché parte dei nutrienti precedentemente assunti vengono digeriti e/o assorbiti anche nel post-allenamento (27).
Anche la supplementazione aminoacidica e/o proteica nel peri-workout assuma anch’essa un valore relativo; oltre ad assicurarsi adeguati livelli di glicogeno muscolare pre-esercizio, può bastare una quantità di carboidrati da assumere durante la sessione (o precedentemente), non solo per sopprimere gli aumenti del cortisolo (36), ma soprattutto per inibire l’ossidazione dei BCAA muscolari (13).
In passato si sosteneva anche che l’assunzione di proteine (e quindi di amminoacidi) in concomitanza ai carboidrati durante l’esercizio di endurance potesse avere un effetto ergogenico più dei soli carboidrati, ma le evidenze attuali non supportano questa conclusione, riconoscendo che la componente proteica/aminoacidica non abbia alcun ruolo aggiuntivo in questo senso (37).
L’influenza del digiuno a breve termine (fasting)
In passato, l’esercizio con i pesi a stomaco vuoto (dopo il digiuno notturno) era fortemente sconsigliato per prevenire ogni minimo ed eventuale rischio di catabolismo (27). Anche in questi casi però, alti livelli di glicogeno muscolare (con un alto apporto di carboidrati) riescono a prevenire questo rischio (26). Inoltre, dopo l’esercizio con i pesi a digiuno il catabolismo proteico risulta significativamente elevato appena dopo 195 min dal termine (38).
Andrebbe soprattutto verificato se l’eventuale catabolismo durante l’esercizio a digiuno provoca una perdita di massa muscolare, poiché gli effetti acuti non sono necessariamente predittivi degli effetti cronici (29).
Alcune ricerche su bodybuilder che si allenavano a digiuno non hanno osservato significative differenze nella composizione corporea rispetto a chi si allenava a stomaco pieno in 4 settimane, a parità di dieta (39). Inoltre, altri studi segnalano che l’allenamento con i pesi a digiuno possa addirittura aumentare alcuni marker dell’anabolismo muscolare più che a stomaco pieno (40). La questione è stata meglio approfondita in Catabolismo muscolare nel digiuno intermittente, dove si valuta ulteriore letteratura a conferma dell’effetto neutro del digiuno sul muscolo.
Queste evidenze mettono fortemente in discussione l’ipotetico rischio di perdere muscolo durante l’esercizio in condizioni normali. Essendo il catabolismo muscolare maggiore con bassi livelli di glicogeno muscolare (12,13,26), questo suggerisce anche che il potenziale dell’esercizio a digiuno nell’indurre un aumento della proteolisi sia inversamente dipendente dalla quantità di carboidrati nella dieta.
Dato che i livelli basali di glicogeno muscolare sono dipendenti anche dall’apporto di carboidrati nella dieta (41), il catabolismo durante l’esercizio a digiuno può essere facilmente più spiccato con una dieta low-carb che con una dieta normo-glucidica, a parità di calorie e proteine.
Lo stesso può valere per l’apporto calorico. La dieta ipocalorica aumenta il rischio di catabolsimo, che deve essere compensato da un aumento delle proteine (9,24), sebbene anche i carboidrati possano avere in parte un ruolo (24). Come spiegato in altra sede, quanto più ampi risultano il deficit energetico e i livelli di magrezza, e quanto più ridotto è l’apporto glucidico, tante più proteine sarebbero richieste per mantenere la massa magra.
Quindi, il rischio di catabolismo nell’esercizio a digiuno può essere più o meno spiccato in base al bilancio calorico e all’apporto di carboidrati. Le posizioni di diversi ricercatori suggeriscono un’assunzione di nutrienti nel peri-workout (almeno in una delle tre fasi) per annullare ogni minimo rischio (27,28).
Punti chiave
- Il catabolismo muscolare (MPB) acuto durante l’esercizio aumenta in situazioni piuttosto rare (allenamento a digiuno combinato con riserve di glicogeno depletate);
- Non è scontato che il MPB acuto sia sinonimo di perdita muscolare (catabolismo netto);
- L’eventuale aumento acuto del MPB è evidentemente sopraffatto da fattori che determinano il mantenimento o la crescita muscolare (soprattutto apporto calorico e proteico);
- La presunta necessità di tamponare un ipotetico catabolismo durante l’esercizio è stata probabilmente molto enfatizzata dall’industria degli integratori
- Il cibo è anti-catabolico per natura;
- Esistono dei contesti in cui degli agenti anti-catabolici supplementari alla dieta potrebbero essere valutati, ad esempio durante le fasi finali di una preparazione di bodybuilding;
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2 risposte
Ciao Lorenzo, articoli sempre interessanti e scientifici, complimenti. Ho una domanda da amatore, visto che sono oltre la trentina, lavoro su turni, ed è solo da poco meno di un anno che faccio caso a cosa mangio o quanto mi muovo, non ho intenzione di competere ma solo di migliorare la mia composizione corporea e mettere su massa, si evince da vari articoli che il timing della nutrizione, anche quella del peri workout non sia così essenziale, corretto? Meglio concentrarsi sull’introito di macro e calorie nelle 24h? Grazie in anticipo, Andrea.
Ciao Andrea. Ti ringrazio. Assolutamente si, confermo. La nutrizione peri-workout è molto sopravvalutata, e sarebbe da valutare soprattutto per atleti avanzati e magari quando si segue una dieta ipocalorica che ti porta a raggiungere livelli di grasso piuttosto bassi. Ovvio che oltre a questo ci sono altri contesti in cui si può valutare, ma se distribuisci i pasti in maniera “normale” (cioè, tipo 3 pasti principali e eventualmente spuntini) questo basta e avanza in genere, specie per un amatore. Le finezze hanno senso in situazioni più specifiche che riguardano una fetta molto ristretta di persone che si allenano in palestra o che fanno sport.