La variabile della densità

La densità è stata proposta negli ultimi anni come una delle principali variabili del resistance training aggiungendosi a intensità di carico, intensità dello sforzo, volume e frequenza.

Diversamente dalle altre variabili citate, la densità non è riconosciuta in ambito scientifico (1-3); nella ricerca si parla indirettamente della densità valutando le variazioni dei tempi di recupero, delle ripetizioni a serie, del time under tension (TUT) e del volume.

Al contrario delle altre variabili infatti questa nasce in ambito extra-scientifico, e sembra sia stata popolarizzata da Charles Staley con il suo celebre Escalating Density Training (EDT) (4) – traducibile come allenamento a densità crescente – proposto appena nei primi anni 2000.

Sebbene il concetto di densità fosse già da tempo esistente, e usato almeno in Italia da autori come Filippo Massaroni, l’EDT ha avuto probabilmente il merito di aver popolarizzato questa variabile e fatto in modo che venisse riconosciuta e accettata su larga scala. L’EDT si basa su allenamenti in split routine in cui lo scopo è quello di enfatizzare il lavoro muscolare (limitando molto i recuperi) all’interno della sessione.

Definizione

La densità è stata definita come “la quantità di lavoro muscolare che è possibile svolgere in uno specifico periodo di tempo” (4) o “il legame tra carico e recupero all’interno della stessa unità allenante” (5). Un allenamento che prevede sforzi di maggiore durata e/o pause brevi è più denso di un allenamento della stessa durata totale, ma con sforzi brevi e/o pause lunghe.

Un circuit training o il CrossFit© sono classici esempi di allenamenti ad alta densità, i protocolli di powerlifting o di power-bodybuilding sono l’emblema dell’allenamento a bassa densità, mentre le modalità di allenamento di bodybuilding tradizionale tendono ad essere una via di mezzo tra questi estremi. La densità è quindi un indicatore del lavoro muscolare totale all’interno della sessione, e si potrebbe riconoscere in alternativa come la differenza tra la somma dei time under tension e la somma dei tempi di recupero (5).

Formula della densità?

Come accennato in apertura, la densità era una variabile esistente da prima che Charles Staley la popolarizzasse con l’EDT. Viene infatti riportato che essa era già utilizzata da altri autori, ad esempio in Italia da Filippo Massaroni. La concezione di densità proposta da Massaroni si individua con la formula:

  • Kg x ripetizioni x numero di serie / tempo

Secondo questa concezione la densità rappresenta il volume che si riesce ad accumulare all’interno di un dato periodo: più ripetizioni totali vengono compiute in un certo arco di tempo (ad esempio 30 minuti) e maggiore è la densità.

Tale interpretazione appare intelligente, perché rende la densità ben misurabile. D’altra parte essa non coincide perfettamente con la definizione proposta da altri autori, secondo cui la densità sarebbe semplicemente la differenza tra la somma dei TUT (la durata delle serie) e la somma dei recuperi all’interno di un dato arco di tempo (5).

Mentre la prima formula prende in considerazione il volume (inteso come volume load), nel secondo caso si prende in considerazione semplicemente il tempo totale in cui il muscolo è sottoposto a tensione nell’intera sessione. Anche se queste due visioni sembrerebbero coincidere, in realtà sono piuttosto differenti, perché il Time Under Tension (TUT) e le ripetizioni per serie sono variabili potenzialmente indipendenti. A parità di “lavoro” inteso come tempo sotto tensione (TUT), si possono accumulare un numero di ripetizioni molto diverse nello stesso arco di tempo, oppure a parità di ripetizioni totali accumulate, il TUT totale può essere differente.

Densità come determinante l’intensità

La densità può essere riconosciuta come un’importante variabile determinante le due forme di intensità del resistance training, ovvero l’intensità dello sforzo e l’intensità di carico.

Alcuni autori hanno proposto non a caso la densità come una delle espressioni dell’intensità nell’esercizio con sovraccarichi (4); effettivamente questa variabile condiziona molto entrambe le forme di intensità, perché un suo aumento determina un abbassamento della soglia del cedimento, e quindi un aumento della fatica e un abbassamento delle ripetizioni massime (RM) con lo stesso carico.

L’intensità di carico, l’intensità dello sforzo e il volume da soli non erano sufficienti per poter monitorare il grado di fatica imposta dall’esercizio, una necessità soprattutto nel bodybuilding, dove il cosiddetto stress metabolico (proporzionale alla densità), è ritenuto uno dei fattori – ma non l’unico, né il più importante – responsabili dell’ipertrofia muscolare (6).

Pertanto l’inclusione di questa variabile, per quanto inizialmente non riconosciuta in ambito scientifico, è necessaria per riconoscere un ulteriore aspetto dell’intensità intesa in termini globali; infatti un allenamento più denso è anche più “intenso” (inteso come “duro” o “faticoso”) rispetto ad un allenamento meno denso (4).

High Density Training (HDT) per l’ipertrofia?

La densità è una variabile estremamente determinante la manifestazione dello stress metabolico, uno dei principali meccanismi alla base dell’ipertrofia.

Lo stress metabolico è il risultato degli sforzi molto prolungati e/o tempi di recupero brevi, causato dall’accumulo di metaboliti grazie anche alle temporanee ipossia e ischemia muscolari (7,8).

Alcune filosofie di allenamento promuovono l’alta densità – High Density Training (HDT) – come la chiave per ottimizzare l’ipertrofia (4), anche se questa risulta una visione dicotomica che non riflette la realtà nella sua complessità.

Infatti la tensione meccanica è ritenuta il più importante meccanismo dell’ipertrofia (6), e questa si ottimizza con minori densità di allenamento. Questo lo si può osservare anche empiricamente, in quanto è stata ripetutamente osservata una simile ipertrofia tra protocolli di diversa densità (a parità di volume) anche su bodybuilder allenati (9). Per questo motivo l’alta densità non deve essere per forza la principale modalità di allenamento nei programmi di ipertrofia, anche se potrebbe essere complementare alle modalità più orientate sulla forza e sulla tensione meccanica (6).

La densità (o la relazione tra TUT e recuperi) comunque non è l’unica determinante lo stress metabolico, in quanto anche un generale aumento del volume di allenamento può enfatizzare questa risposta metabolica (6).

Quindi se a parità di durata totale della sessione TUT più prolungati e/o recuperi più brevi aumentano la densità, è anche vero che aggiungere ulteriore volume (aumentando la durata della sessione) agisce a sua volta aumentando lo stress metabolico, anche mantenendo inalterati TUT e recuperi.

In altre parole, un allenamento molto denso ma di breve durata potrebbe causare un minore stress metabolico di un allenamento meno denso ma con molto più volume e di maggiore durata totale. Ad ogni modo la densità è probabilmente la principale variabile che necessita di un’esasperazione per provocare lo stress metabolico, in netto contrasto con la tensione meccanica.

Densità specifica

La densità è quindi quella variabile che riconosce la quantità di lavoro muscolare all’interno della sessione di allenamento, o per meglio dire della parte centrale (che esclude il riscaldamento e il defaticamento) (5).

Densità esercizio-specifica: si dovrebbe riconoscere una densità non solo in relazione all’intera sessione, ma in relazione allo specifico esercizio. Infatti normalmente i protocolli di allenamento per l’ipertrofia, perlomeno più avanzati, non prevedono sempre le stesse ripetizioni e gli stessi recuperi per tutti gli esercizi, ma tendono a differenziarsi di esercizio in esercizio.

Questo significa che alcuni esercizi possono prevedere un gruppo di serie multiple a bassa densità, mentre altri esercizi nella stessa sessione possono essere organizzati con ripetizioni più alte e/o pause più brevi, cioè con maggiore densità. Per questo motivo sarebbe corretto parlare anche di densità specifica in relazione alla modalità con cui viene svolto ogni esercizio nelle sue serie multiple, e non solo di densità generale riferita ad un intero allenamento.

Densità-globale (o sistemica): Un’altra forma di densità specifica è quella che riconosce la distinzione tra i protocolli total body a circuito e quelli in split routine dedicati allo stesso muscolo. Nel circuit training in total body, o negli allenamenti in stile CrossFit©, la densità è elevata a livello sistemico (in tutto il corpo) ma non a livello locale (sullo stesso muscolo); mentre in un allenamento rivolto a un determinato gruppo muscolare la densità è elevata a livello locale. Di conseguenza bisognerebbe parlare anche di densità globale e di densità specifica, a seconda del tipo di protocollo.

Densità per l’allenamento “tempo-efficiente”

La densità è anche la variabile che può determinare la “tempo-efficienza” dell’allenamento (time-efficient training): un allenamento più denso riesce a far risparmiare tempo rispetto ad un allenamento meno denso. Il classico paragone in questo caso è quello tra l’allenamento di forza massima, di ipertrofia “tradizionale”, e in stile circuit training (resistenza alla fatica).

Il maggiore livello di “tempo-efficienza” è caratteristico del circuit training (cioè un allenamento ad altissima densità), perché permette di sottoporre il corpo a sforzi abbastanza intensi, di accumulare abbastanza volume e di portare ad un dispendio energetico relativamente elevato in rapporto al tempo speso. L’allenamento di forza massima è invece il meno “tempo-efficiente” tra i tre in rapporto alle serie (soprattutto se il volume è abbastanza elevato), perché i recuperi tra le serie sono molto lunghi.

È stato osservato che l’allenamento di forza (basse ripetizioni e recuperi lunghi), e quello di ipertrofia “tradizionale” (ripetizioni moderate e recuperi moderati) sono capaci di promuovere la stessa ipertrofia se il volume totale dell’allenamento è equiparato (9). Una delle differenze che conferisce dei vantaggi alla modalità di ipertrofia tradizionale è appunto la migliore “tempo-efficienza”, ovvero a parità di efficacia quest’ultimo impone molto meno tempo per essere compiuto (9). Questa maggiore tempo-efficienza è data dalla maggiore densità dovuta soprattutto ai recuperi più brevi, e secondariamente ai TUT più prolungati.

Densità per dimagrire?

Una popolare teoria del passato sosteneva che per favorire la perdita di grasso l’allenamento dovesse prevedere alte ripetizioni e/o pause brevi (10,11); in altre parole l’allenamento con i pesi “dimagrante” dovrebbe essere ad alta densità (4). In realtà nel mondo scientifico queste teorie sono state messe in discussione e non sembra siano realmente state confermate empiricamente (10,11).

Esistono effettivamente delle basi teoriche per cui TUT più prolungati e/o recuperi più brevi – cioè alta densità – sarebbero più adatti per dimagrire; questo semplicemente perché possono provocare un dispendio calorico leggermente maggiore durante e/o post-allenamento (12,13,14).

Questi principi necessitano di essere correttamente interpretati per capire se il maggiore dispendio calorico è significativo, e soprattutto se si può tradurre realmente in una maggiore perdita di grasso. Ad esempio, in altri casi il dispendio energetico non era significativamente differente tra allenamenti di diversa densità (14,15,16). Questo perché non è solo la densità a influire sul dispendio calorico indotto dai pesi, quindi si rischia di trarre conclusioni che non si riflettono in niente di veramente utile nella pratica.

Uno dei problemi di questa ipotesi è non considerare che la densità può essere facilmente antagonista del volume (più aumenta la densità e meno volume si riesce ad accumulare a parità di serie totali), e il volume è un importante condizionante del dispendio energetico indotto dai pesi (14,17). Quindi anche se una maggiore densità potrebbe provocare un dispendio energetico leggermente superiore, questo forse potrebbe essere vero a parità di durata dell’allenamento (per la “tempo-efficienza”) (14), ma non a parità di volume o ripetizioni totali.

Detta altrimenti, anche se un allenamento durasse di più per una minore densità, esso avrebbe un simile effetto sul dispendio energetico a parità di volume complessivo. Ad ogni modo alcune delle poche analisi empiriche su soggetti allenati sembrano aver smentito che un allenamento ad alta densità (un circuit training) produca una perdita di grasso significativamente maggiore rispetto ad un allenamento tradizionale equiparando il resto delle variabili (18).

Densità per il cardio: il rapporto work:rest

Un altro utilizzo della densità che ancora non è stato proposto è la sua applicazione nelle modalità di allenamento cardio in stile interval training (IT), in particolare nel più comune High Intensity Interval Training (HIIT). Come per l’esercizio con i pesi anche l’interval training si caratterizza dall’alternanza tra fasi sotto sforzo a fasi di recupero, anche se in questo caso si usa più comunemente il “recupero attivo”, cioè uno sforzo più leggero.

Nel gergo del interval training si parla di “rapporto work:rest”, cioè tra fasi di picco e fasi di recupero, riferendosi ad un concetto abbastanza simile alla densità. Per questi motivi può essere sensata l’applicazione della variabile densità anche per riferirsi all’allenamento cardiovascolare intervallato.

A parità di volume (durata complessiva) è possibile svolgere un protocollo HIIT con una densità – e quindi un rapporto tra picchi anaerobici e recupero – molto diversa. Come accade per l’esercizio con i pesi, sforzi più prolungati nelle fasi di picco provocano un maggiore stress metabolico e una maggiore deplezione del glicogeno (19), anche se sul lungo termine un diverso rapporto work:rest tende a portare a simili miglioramenti di performance, parametri metabolici e composizione corporea in soggetti giovani e attivi (20).

Riferimenti:

  1. Fleck SJ, Kraemer WJ. Designing resistance training programs (4th ed.). Human Kinetics, 2014. pp. 5-7.
  2. Helms ER et al. Recommendations for natural bodybuilding contest preparation: resistance and cardiovascular training. J Sports Med Phys Fitness. 2014 Jul 7.
  3. Fisher J et al. Evidence-based resistance training recommendations. Med Sport. 2011 15(3), 147-162.
  4. Venuto T. High Density Training (HDT): A legitimate, scientifically-proven method for gaining more muscle in less time. bodybuilding.elitefitness.com. 
  5. Paoli A, Neri M. Principi di metodologia del fitness. Elika, 2010. p. 102-105.
  6. Schoenfeld BJ. The mechanisms of muscle hypertrophy and their application to resistance training. J Strength Cond Res. 2010 Oct;24(10):2857-72.
  7. Schoenfeld BJ. Potential mechanisms for a role of metabolic stress in hypertrophic adaptations to resistance training. Sports Med. 2013 Mar;43(3):179-94.
  8. Kraemer WJ, Ratamess NA. Hormonal responses and adaptations to resistance exercise and training. Sports Med. 2005;35(4):339-61.
  9. Schoenfeld BJ et al. Effects of different volume-equated resistance training loading strategies on muscular adaptations in well-trained men. J Strength Cond Res. 2014 Oct;28(10):2909-18.
  10. Lambert CP et al. Macronutrient considerations for the sport of bodybuilding. Sports Medicine. 2004.
  11. Gentil P. A nutrition and conditioning intervention for natural bodybuilding contest preparation: observations and suggestions. J Int Soc Sports Nutr. 2015; 12:50.
  12. Ratamess NA et al. Acute oxygen uptake and resistance exercise performance using different rest interval lengths: the influence of maximal aerobic capacity and exercise sequence. J Strength Cond Res. 2014 Jul;28(7):1875-88.
  13. Scott CB. The effect of time-under-tension and weight lifting cadence on aerobic, anaerobic, and recovery energy expenditures: 3 submaximal sets. Appl Physiol Nutr Metab. 2012 Apr;37(2):252-6.
  14. Farinatti P et al. Influence of resistance training variables on excess postexercise oxygen consumption: a systematic review. ISRN Physiology. 2013;2013:10.
  15. Aniceto RR et al. Acute effects of different weight training methods on energy expenditure in trained men. Rev Bras Med Esporte. 2013; 19(5/6): 181-185.
  16. Mazzetti SA et al. Influence of differences in exercise-intensity and kilograms/set on energy expenditure during and after maximally explosive resistance exercise. Int J Exerc Sci. 2011; 4(4): 273–282.
  17. Mookerjee S et al. Comparison of energy expenditure during single-set vs. multiple-set resistance exercise. J Strength Cond Res. 2016 May;30(5):1447-52.
  18. Alcaraz PE et al. Similarity in adaptations to high­ resistance circuit vs. traditional strength training in resistance ­trained men. J Strength Cond Res. 2011 Sep;25(9):2519-27.
  19. Price M, Moss P. The effects of work:rest duration on physiological and perceptual responses during intermittent exercise and performance. J Sports Sci. 2007 Dec;25(14):1613-21.
  20. Lee CL et al. Physiological adaptations to sprint interval training with matched exercise volume. Med Sci Sports Exerc. 2017 Jan;49(1):86-95.
  • Lorenzo Pansini

    Lorenzo Pansini è natural bodybuilder, formatore, personal trainer e divulgatore scientifico specializzato in nutrizione sportiva (ISSN-SNS) e allenamento per il miglioramento fisico. Con oltre 10 anni di esperienza attiva nella divulgazione scientifica, è stato per anni referente tecnico per l'azienda leader Project inVictus con vari ruoli, e richiesto da altre importanti realtà del settore nazionale. È autore per testi e riviste di settore, come Alan Aragon's Research Review, redatta dal ricercatore e nutrizionista americano Alan Aragon.

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