“Io guardo/porto i risultati”: fallacie e bias dell’aneddotica nel fitness

“Io guardo/porto i risultati” è una comune frase fatta usata spesso per alludere al fatto che “contano i fatti” e non la teoria o i bei discorsi, quindi ottenere un risultato dimostrerebbe che la strategia utilizzata per ottenerlo è inequivocabilmente valida, o semplicemente dimostrerebbe i meriti. L’aforisma utilizzato nei paesi anglofoni “you can’t argue with results” (non si può discutere sui risultati) ha un significato equivalente. 

Questo metro di giudizio sbrigativo è una cosiddetta euristica, cioè una “scorciatoia cognitiva” per capire a intuito, sulla base di indizi, come risolvere, giudicare, o decidere, di fronte a problemi complessi o informazioni incomplete. Anche se nel quotidiano le euristiche si rivelano molto spesso strategie efficienti, esse non sono infallibili, altrettante volte portano a errori notevoli, e ci si può facilmente approfittare della loro grande credibilità in maniera ingannevole.

Nel fitness questo argomento può essere usato quando ad esempio si vuole provare l’efficacia o la superiorità di un metodo di allenamento o di alimentazione, o dimostrare la competenza propria o di terzi. Non appena si esprimono delle critiche – anche fondate – sulle metodologie utilizzate, scatta la frase “io porto/guardo i risultati” o “contano i risultati”, come se dal punto di vista logico questo bastasse per smentire a prescindere le critiche e “dimostrare” di essere nel giusto.

“Non potete confondere la foresta per gli alberi” 

Questo popolare aforisma anglosassone (“you can’t see the forest for the trees”) concettualmente può significare non avere una visione del quadro complessivo, focalizzandosi solo su un dettaglio. In questo contesto si può descrivere il comune guardare solo al risultato finale senza focalizzarsi sul come o perché è stato raggiunto. 

Per esempio, se un imprenditore sfrutta del denaro illecito per costruire il suo impero, oppure se una persona raggiunge una posizione di prestigio grazie a conoscenze, parentele, o corruzione, appellarsi al “io guardo ai risultati” risulterebbe fuorviante. Lo stesso ragionamento vale se un bodybuilder assume doping senza dichiararlo confrontandosi con chi non lo usa, oppure se un preparatore o un coach sceglie di mostrare solo pochi successi omettendo i più numerosi insuccessi. 

E ancora, mettere in risalto la propria vittoria in una federazione poco prestigiosa confrontandosi con atleti che hanno gareggiato in federazioni di livello molto più alto e in cui è più difficile competere. Oppure, essere raccomandati nelle competizioni per le conoscenze tra il preparatore e i giudici di gara, o per le parentele con gli organizzatori (ma anche essere penalizzati per le antipatie verso l’atleta).

Ma questi dettagli non si possono sapere guardando solo i risultati e non come e perché sono stati ottenuti. In termini semplici, se il comune intento di barare va a buon fine, agli occhi delle persone questo non risulterà, proprio perché per natura ci si limita a “guardare i risultati”, ovvero la superficie.

L’assenza di un metro di paragone

È sempre facile dire che un metodo funziona perché si ottiene un risultato apparentemente buono, più difficile è dimostrare che tale metodo è ottimale o migliore rispetto ad altri. È altrettanto facile capire che se si ottiene un risultato con una data strategia, questo non significa che la stessa è automaticamente migliore o più ottimale rispetto ad altre opzioni.

Solo perché uno è muscoloso, non significa che non possa essere più muscoloso con un migliore programma di allenamento. (Brad Schoenfeld)

Ma che un metodo sia migliore dell’altro può essere stabilito direttamente solo con un metodo di paragone, e al massimo ci si affiderebbe a statistiche su grandi campioni di persone, che però non possono dimostrare una causa-effetto. In assenza di una comparazione diretta chiunque può sostenere che un metodo è ottimale o meglio di un altro, ma naturalmente questo ragionamento è a monte carente di logica pur essendo estremamente diffuso.

“Per ogni istruttore o allenatore che sostiene di usare [un metodo] perché “funziona nella pratica”, [ci sono altrettanti] allenatori o coach che si affidano ad affermazioni esattamente contrarie dicendo la stessa identica cosa sulle pratiche che utilizzano. Ciò dimostra che il fatto di avere allenato atleti di alto livello o di aver avuto un qualsiasi livello di successo nell’allenamento, non significa affatto che tutto quello che pretendono essere legittimo è tale. 

[…] i professionisti che fanno questo tipo di dichiarazioni, come se forniscano sufficienti “prove” della validità di tutto ciò che affermano, sono le stesse persone che rifiutano questo tipo di dichiarazioni quando vengono da altri allenatori o coach che si affidano a una scuola di pensiero contraria. […] se si vuole sapere cosa c’è di sbagliato con una particolare scuola di pensiero sull’allenamento, basta chiedere a un professionista che segue una scuola di pensiero diversa e contrastante.” (Nick Tumminello) (1)

L’aneddotica (spesso) non è una prova

Un altro problema dell’aneddotica va riconosciuto sotto il nome di una fallacia logica denominata proprio evidenza aneddotica, che consiste nel pretendere che singoli aneddoti valgano come prove in senso generale.

Il problema fondamentale dell’aneddotica è che in genere non si basa su dei test accurati e sul confronto diretto con altri trattamenti, controllando le variabili. Ma anche qualora l’aneddotica dimostrasse ipoteticamente un’oggettiva causa-effetto, il riscontro rimarrebbe valido per il singolo caso, e non per forza in generale. Eppure, l’aneddotica viene erroneamente presa per buona da gran parte delle persone come base per generalizzare, anche se ci si affida a uno o pochi casi isolati (2), e se talvolta non è dimostrabile un nesso di causalità. 

L’aneddotica è viziata anche dalla fallacia post hoc, che consiste nel dare per scontato che se l’avvenimento A è seguito dall’avvenimento B, allora A è automaticamente la causa di B. Nell’aneddotica spesso si fa passare il concetto che se si ottiene un ottimo risultato finale (B) la causa è da attribuire certamente alla singola strategia che si vuole promuovere (A), anche se quest’ultima non fosse stata realmente determinante sul risultato stesso (perlomeno direttamente o non più di altre opzioni). Si abusa quindi della credibilità ottenuta dal buon risultato finale pretendendo che ciò dimostri la validità (o superiorità) di una o più pratiche applicate.

Un classico esempio nel campo dell’allenamento è sostenere come un dato esercizio o un dato metodo siano molto efficaci, mostrando i propri risultati o quelli di un campione. Dal punto di vista logico, questa non è una prova che l’esercizio o il metodo sia siano stati la causa del risultato, poiché spesso manca un metro di paragone affidabile, sia sulla stessa persona che su più persone. Quindi, anche più aneddoti, per quanto possibili indizi, spesso non sono sufficienti a dimostrare chiaramente la validità di certe pratiche.

Un aneddoto plurale non è una prova. (Louise Burke)

Bias di selezione-sopravvivenza e genetica

Il bias di sopravvivenza è un altro comune errore commesso quando si guarda il risultato senza soffermarsi sul perché si è ottenuto. L’errore consiste nel concentrarsi appunto sul risultato di uno o pochi casi senza considerare la potenziale influenza di un effetto di selezione, per cui vengono trascurati i casi in cui il risultato non è stato raggiunto.

Ad esempio, se viene applicato un metodo su 50 persone e solo 5 di queste ottengono un risultato soddisfacente, non è possibile sostenere che il metodo sia efficace in senso generale, né che chi lo ha fatto applicare sia competente. Eppure, se si omettono i 45 casi di insuccesso mostrando solo la minoranza che ha ottenuto successo si può facilmente convincere dell’efficacia del metodo. Anche in questo caso “si è guardato il risultato”, senza poter sapere che esso è stato frutto di una selezione più o meno consapevole.

Spesso i casi di successo sono semplicemente dovuti a particolari doti genetiche per cui, anche applicandosi non meglio della media, certi soggetti spiccano perché ottengono dei risultati molto superiori alla maggioranza delle persone (3). Perfino la componente motivazione (4) e gradimento dell’esercizio fisico (5) hanno una componente genetica che inevitabilmente determina la probabilità di ottenere buoni risultati. Senza contare la predisposizione genetica a reggere anni di trattamenti farmacologici a cui si sottopongono i bodybuilder dopati.

È innegabile che l’effetto selezione mediato da fattori genetici sia determinante nel rendere un campione tale indipendentemente dalle altre variabili. Questi bias però sono spesso sfruttati per vendersi in maniera molto efficace: selezionando soggetti già dotati in partenza, le loro risposte a vari trattamenti, anche se non così ottimali o migliori, porteranno comunque a risultati molte volte eccelsi. 

La fallacia che la performance è tutta una questione di pratica e allenamento: […] Per diventare un atleta d’élite, uno deve essere dal principio ben dotato circa i tratti che hanno dei ruoli critici nella prestazione atletica di interesse, e dovrebbe anche essere un alto responder all’esercizio fisico. (Sarzynski & Bouchard, 2020) (3)

Trattamento attivo vs passivo e adesione

Le professioni nel ramo del fitness e della nutrizione associata richiedono che il cliente abbia un ruolo attivo, cioè che rispetti bene le indicazioni fornite dal professionista (6).

Spesso però i casi in cui il cliente ha un ruolo attivo vengono messe sullo stesso piano di quelli dove ha un ruolo passivo, cioè dove non è richiesto il suo impegno nel tempo per ottenere il risultato (come un medico chirurgo). Questa equazione è scorretta, poiché quando il cliente ha un ruolo attivo le responsabilità sul raggiungimento del risultato sono condivise tra il professionista e il cliente. 

Ciò che distingue i due casi è il fattore adesione/aderenza. Il problema del “guardare i risultati” quando ci si riferisce ai casi di successo con un ruolo attivo, è che spesso li si attribuisce solo alla presunta competenza dell’operatore, senza considerare l’enorme influenza dell’adesione al piano da parte del cliente (oltre che l’effetto sopravvivenza, la genetica e vari altri fattori). Ma poiché la motivazione e il gradimento per l’esercizio hanno una componente genetica (4,5), significa che alcuni soggetti sono più predisposti di altri ad aderire al programma.

Ecco che tra due operatori di pari competenza, uno può apparire molto migliore dell’altro solo perché seleziona esclusivamente i clienti che sono stati capaci di rispettare perfettamente il piano ottenendo buoni risultati. Quindi per apparire competenti è importante che il cliente aderisca, e se si mostrano solo casi selezionati di soggetti aderenti, è facile sembrare più abili nel portare risultati di quello che si è. Del resto, questo è ciò che succede comunemente nel campo commerciale.

Effetto placebo/nocebo

Un problema estremamente presente dell’aneddotica è l’effetto placebo. Questo è definito come una reazione psicofisiologica positiva determinata dall’aspettativa che si manifesta a seguito dell’assunzione di una sostanza inerte, cioè di per sé priva di effetto sui sintomi riscontrati. L’effetto nocebo indica lo stesso principio nel senso negativo (7).

Pur essendo normalmente associato all’uso di una sostanza o di un agente esterno privi di effetto reale, l’effetto placebo/nocebo può essere provocato anche da semplici pratiche o trattamenti, dal contesto psicosociale, dall’autorevolezza (anche solo percepita) di chi li propone, dalla sua capacità di instaurare una relazione con il cliente, e dal costo del trattamento stesso (7). Ad esempio, credere che l’allenamento eseguito sia personalizzato può portare a esiti sulla performance e sull’adesione leggermente migliori rispetto a credere che l’allenamento sia generico (8).

Quindi essere seguiti o allenati da una figura nota e accreditata, costosa, e capace di instaurare una buona relazione, crea un’aspettativa tale per cui ciò che viene da questa applicato o professato si può tradurre in risposte positive oggettive, anche indirettamente attraverso una migliore adesione.

In altre parole, i riscontri effettivi e non solo percepiti possono essere molto determinati da fattori indipendenti dalla validità oggettiva di un metodo o di un trattamento, e quindi dalla competenza tecnica dell’operatore. 

Ad esempio, nel contesto fitness i risultati e le sensazioni positive forniti da un programma di allenamento non sono date solo o per forza dalla sua validità oggettiva, ma anche da una miriade di fattori rientranti nell’effetto placebo. Quindi ottenere un riscontro da un trattamento non è sempre una dimostrazione che questo avesse un valido criterio o che fosse oggettivamente la migliore scelta come frutto di un’alta competenza tecnica.

Le cause multi-fattoriali

Un altro errore tipico nel “guardare i risultati” è non considerare che talvolta questi sono dovuti a cause multi-fattoriali, ricadendo così nella fallacia della singola causa. Questo errore logico è commesso quando si presume che esista un’unica causa per il risultato in oggetto, laddove il risultato è dovuto all’insieme di molte cause.

Nel fitness o nello sport in genere questo errore viene commesso quando si vuole attribuire a una determinata strategia la causa di un risultato generale. Tipico è il caso in cui si vuole promuovere la presunta efficacia di un esercizio o di una data tecnica di allenamento perché questi sono stati usati dal campione o da un atleta di successo.

L’errore è quindi pretendere che il successo dell’atleta dimostri l’efficacia dell’esercizio o della tecnica, indipendentemente da tutti gli altri fattori – in genere i veri fattori determinanti – che hanno permesso di ottenere il risultato. Nella realtà, il risultato complessivo è dato dall’insieme di vari fattori menzionati precedentemente: particolare dote genetica nel rispondere positivamente all’allenamento e alla dieta, allenamento e alimentazione ben pianificati, alta adesione, e eventuale utilizzo di doping, ad esempio, possono garantire gli stessi risultati indipendentemente dalla validità del dato esercizio o della data tecnica.

In altre parole, proprio perché nell’aneddotica è implausibile isolare accuratamente le variabili, non è neppure possibile sapere se e quanto la singola variabile che si pretende essere influente ha determinato il risultato generale, che comunque è causato da diversi fattori.

Il marketing non guarda all’onestà intellettuale

Se nella scienza l’interesse prioritario è la ricerca della verità attraverso chiare e replicabili dimostrazioni di causa-effetto, nel mondo commerciale l’interesse prioritario sono il guadagno e/o la carriera, che si basano sull’immagine, cioè sulla percezione che le persone hanno del prodotto, del servizio o della competenza offerti. Le leggi di questi due mondi rispondono a regole e priorità opposte, quindi risulta difficile una loro compatibilità. 

A tutto questo va ad aggiungersi la naturale attitudine nel volersi assumere i meriti sui risultati ottenuti, che possono vedere una degenerazione in presenza di uno spiccato egocentrismo (che nel fitness è dominante). Come si è potuto comprendere però, molte più volte di quanto si creda i meriti non sono proporzionali ai risultati, ed anzi si cerca in tutti i modi di costruire un’immagine enfatizzata della propria competenza o del proprio metodo a causa di ego e interessi. 

L’85% del tuo successo finanziario è dovuto alla tua personalità, e all’abilità di comunicare, negoziare, e guidare. Sorprendentemente, solo il 15% è dovuto alla conoscenza tecnica.

Carnegie Institute of Technology

Legge della percezione: Il marketing non è una battaglia di prodotti, è una battaglia di percezioni.

Al Ries & Jack Trout

Conclusioni

Quello che si può concludere da questo articolo, è che per diversi motivi logici e cognitivi guardare i risultati non dimostra inequivocabilmente la validità di un metodo, la competenza di un operatore, o i meriti di un atleta. A scanso di equivoci, ciò non significa affatto che non esista in alcun caso una relazione, ma semplicemente che la relazione non è automatica per il solo fatto di ottenere un risultato ottimo o apparentemente tale.

Quanto detto non vuole neppure sminuire il valore dell’aneddotica, che ha una grande utilità per prendere decisioni nella quotidianità o nella pratica professionale-sportiva. Piuttosto, lo scopo è sensibilizzare sugli importanti limiti dell’aneddotica, normalmente ignorati a causa di una scarsa conoscenza della logica, e della fallace tendenza a confonderla come una prova inequivocabile e generalizzabile. L’alta credibilità di un buon risultato, o solo apparentemente tale, viene così abusata per pretendere che sia un’ovvia dimostrazione della validità di una pratica, o della propria competenza.

Dato che nel mondo commerciale l’interesse e l’affermazione personale spesso predominano di gran lunga sull’onestà (non solo) intellettuale, è molto difficile per le persone orientarsi per capire la validità oggettiva di certe pratiche, il livello di competenza e abilità di un professionista, o i meriti oggettivi di un atleta, solo guardando un risultato. In questo caso “il fine giustifica i mezzi”, quindi molto spesso anche barare abusando di questa euristica diventa lecito.

Riferimenti:

  1. Tumminello N. Responses to the Top 10 Arguments Against Science-Based Training and Nutrition. shreddedbyscience.com. Oct 3, 2016.
  2. Battersby M. Is That a Fact? Revised Edition: A Field Guide to Statistical and Scientific Information. Broadview Press, 2013. p 223.
  3. Sarzynski MA, Bouchard C. World-class athletic performance and genetic endowment. Nat Metab. 2020 Sep;2(9):796-798.
  4. Simpson EH, Balsam PD. The behavioral neuroscience of motivation: an overview of concepts, measures, and translational applications. Curr Top Behav Neurosci. 2016;27:1-12.
  5. de Vilhena e Santos DM et al. Genetics of physical activity and physical inactivity in humans. Behav Genet. 2012;42(4):559–78.
  6. Evangelista P. Il cardiologo e il chinesiologo. nota FaceBook. 2018.
  7. Benedetti F. Effetti Placebo e Nocebo. Dalla Fisiologia alla Clinica. Giovanni Fioriti Editore. 2015. pp. 41-47.
  8. Lindberg K et al. The effects of being told you are in the intervention group on training results: a pilot study. Sci Rep. 2023;13: 1972.
  • Lorenzo Pansini

    Lorenzo Pansini è natural bodybuilder, formatore, personal trainer e divulgatore scientifico specializzato in nutrizione sportiva (ISSN-SNS) e allenamento per il miglioramento fisico. Con oltre 10 anni di esperienza attiva nella divulgazione scientifica, è stato per anni referente tecnico per l'azienda leader Project inVictus con vari ruoli, e richiesto da altre importanti realtà del settore nazionale. È autore per testi e riviste di settore, come Alan Aragon's Research Review, redatta dal ricercatore e nutrizionista americano Alan Aragon.

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