Nel mondo della nutrizione esistono molte strategie dietetiche per perdere peso. Alcune si basano sul controllo del cibo e delle calorie, altre possono invece permettere di mangiare a sazietà senza contare le calorie o le grammature. Quest’ultimo è un tipico approccio alimentare cosiddetto ‘ad libitum’, che consiste cioè nel mangiare a piacere o a sazietà, pur permettendo la perdita di peso.
È scopo di questa serie di articoli offrire una panoramica completa sulle cosiddette ‘ad libitum (ad lib) diet’, ovvero quei modelli alimentari in cui si adottano delle strategie per instaurare spontaneamente la restrizione calorica – e quindi portare ad una progressiva perdita di grasso – senza contare le calorie.
In questa prima parte si analizzerà l’argomento sotto l’aspetto delle proporzioni (o ratio) dei macronutrienti ideali per rendere uno stile alimentare per perdere o mantenere il peso, tipicamente ad libitum.
Ad libitum dieting: introduzione
Ad libitum è un’espressione della lingua latina che significa “a piacere”, “a volontà” o “a discrezione”.
Nella ricerca scientifica si usa il termine ‘dieta ad libitum’ per indicare un tipo di alimentazione parzialmente o completamente non controllata e non restrittiva, cioè dove non si contano calorie. Va precisato che il “mangiare ad libitum” è un concetto molto generico che riguarda le abitudini della maggior parte delle persone, perché indica semplicemente il non-controllo delle calorie.
In questo contesto tuttavia l’ad libitum dieting è riferito a dei particolari approcci dietetici pensati per portare spontaneamente ad assumere poche calorie in rapporto ai propri fabbisogni energetici. In altre parole questi possono instaurare la restrizione calorica (dieta ipocalorica) senza accorgersene. Dato che le ‘ad lib diet’ permettono di non tracciare i macronutrienti, non pesare il cibo e non contare le calorie, gli incentivi psicologici per molte persone possono essere enormi, eliminando o riducendo drasticamente la componente di stress e la percezione di costrizione e sacrificio di norma legati al dover seguire una dieta ipocalorica e mantenerla nel tempo.
Alcune filosofie alimentari giudicano le ad lib diet più adatte per l’uomo in quanto permettono di ottenere benefici simili alle diete ipocaloriche controllate, nonostante l’assunzione di cibo a sazietà e senza restrizioni delle categorie di cibo permesse (1).
Cenni storici
I primi anni settanta segnarono il periodo di esplosione della dieta Atkins, una sorta di dieta chetogenica, cioè una dieta che si caratterizza da un apporto di carboidrati di solito non superiore a 30-50 g/die. Essenzialmente la regola fondamentale della dieta Atkins è il controllo e la forte restrizione dei carboidrati alimentari (inizialmente 20 g al giorno), ma la possibilità di consumare a piacere – cioè, ad libitim – cibi proteici, grassi e verdure (2).
Poco dopo la pubblicazione del libro e i primi grandi successi, alcuni credettero che con la dieta Atkins il grasso poteva essere perso senza ridurre l’apporto calorico, in quanto si consentiva il consumo di alimenti grassi e proteici in maniera illimitata. Nel 1973 il Council on Foods and Nutrition, comitato interno all’allora American Medical Association (AMA), criticò fortemente questa idea che sembrava contraddire le leggi della termodinamica (3). Ci si riferisce in particolare alla prima Legge della Termodinamica – “l’energia non si crea né si distrugge ma si trasforma” – che applicata al contesto dietetico indica la necessità di creare un deficit calorico per perdere grasso.
Le critiche del AMA erano fondate, poiché già da tempo gli studi sulle diete chetogeniche – per primo lo storico studio di Yudkin & Carey del 1960 (4) – trovarono che chi seguiva un’alimentazione chetogenica con un consumo illimitato di grassi e proteine, tendeva spontaneamente a limitare l’assunzione calorica tra le 1400 e le 2100 kcal, questo grazie al forte effetto saziante di tale tipo di approcci alimentari (4,5).
Nel mondo scientifico si ebbero negli anni sempre più conferme sul fatto che le diete in cui i carboidrati vengono fortemente limitati permettevano alle persone di assumere spontaneamente meno calorie, portando facilmente a rimanere in deficit energetico, e quindi perdere grasso. In anni più recenti ad esempio è stato osservato che anche altri modelli alimentari ipoglucidici (low carb) non per forza chetogenici, come la Paleo dieta, permettono di ottenere simili vantaggi (1,6,7).
L’ipotesi del ‘vantaggio metabolico’ delle diete low carb sulle diete low fat
Nel mondo della ricerca scientifica sulla nutrizione è realtà ben nota che le diete low fat (povere di grassi, e quindi ricche di carboidrati) impongono il controllo calorico per instaurare il deficit energetico, mentre le diete very low carb (iperlipidiche-iperproteiche) non per forza richiedono un controllo dietetico per ottenerlo.
In molti classici esperimenti comparativi controllati tra queste due diete, al gruppo low fat viene esplicitamente imposto di controllare l’introito calorico per instaurare il deficit, mentre il gruppo low carb spesso viene limitato solo nelle quantità di carboidrati senza alcuna restrizione di proteine e grassi, e quindi di calorie (8,9,10). Nonostante il gruppo low carb non sia limitato in proteine e grassi, i soggetti in questo gruppo tendono a ridurre spontaneamente l’apporto calorico a livelli simili o anche superiori al gruppo low fat, che al contrario subisce l’imposizione della restrizione calorica (9,10).
A causa di queste differenze, alcune correnti nella ricerca avevano proposto che le diete low carb-iperproteiche avessero un vantaggio intrinseco sulle diete low fat. Questo perché alcuni studi controllati in cui si cercavano di equiparare le calorie tra le due diete, osservarono che le prime favorivano una maggiore perdita di peso (e grasso) (11). Si è parlato quindi di vantaggio metabolico, concetto che per definizione indica la capacità intrinseca di una dieta di permettere una maggiore perdita (o minore aumento) di grasso rispetto ad un’altra dieta, perfettamente a parità di calorie (11).
Alcuni ricercatori avevano proposto l’ipotesi del vantaggio metabolico per le diete low carb e iperproteiche (11), anche se essa si reggeva solo su nozioni teoriche e studi empirici scarsamente controllati dal punto di vista calorico (12). Altri ricercatori più di recente hanno proposto il vantaggio metabolico per le diete iperglucidiche-very low fat (13), sebbene il fenomeno non sia stato veramente dimostrato neanche in questo caso.
È fondamentale capire che il motivo per cui era stata supportata l’ipotesi del vantaggio metabolico per le diete low carb-iperproteiche era dato proprio dal fatto che questa ripartizione dei macronutrienti permette una minore assunzione calorica ad libitum, e non perché sia intrinsecamente ‘superiore’ per dimagrire. Infatti, come spiegato più nel dettaglio in questo articolo, quando le calorie tra diete con diverse proporzioni di macronutrienti vengono perfettamente equiparate sperimentalmente, la perdita di grasso sull’uomo è sempre risultata simile (7,12,14). Questo significa che, secondo quando stabilito nella ricerca sull’uomo, il bilancio energetico di per sé incide sulle variazioni di grasso corporeo indipendentemente dalla provenienza delle calorie assunte.
Perché le diete ‘very low carb’ funzionano ad libitum?
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