Nelle prime due parti di questa serie sono stati approfonditi rispettivamente, i grandi limiti intrinseci dell’indice e del carico glicemico (parte 1) e i più comuni falsi miti legati a questi parametri (parte 2). In questa terza parte si approfondirà l’effetto di indice e carico glicemico sul metabolismo post-prandiale e soprattutto sul loro effetto causale sulle variazioni di grasso corporeo.
Un’ipotesi estremamente diffusa sostiene che assumere una dieta dall’alto apporto di cibi ad alto indice glicemico (IG) e carico glicemico (CG) incida di per sé (cioè, causalmente) su una maggiore tendenza ad aumentare il grasso corporeo (1). Viceversa assumere cibi a basso IG e CG permetterebbe in maniera diretta una maggiore perdita di grasso. Questa teoria affonda le sue radici nella cosiddetta carbohydrate-insulin hypothesis popolarizzata dal giornalista statunitense Gary Taubes, secondo cui l’accumulo di grasso sarebbe causato essenzialmente dall’insulina stimolata dai carboidrati, indipendentemente dal bilancio energetico e quindi dalle calorie assunte (2).
Questa teoria oggi estremamente dibattuta nel mondo scientifico presenta varie falle (2), in quanto non considera né le vie di accumulo di grasso completamente indipendenti dall’insulina (3,4,5), né gli effetti del IG/CG sul metabolismo post-prandiale (1,2), e soprattutto i risultati delle evidenze controllate randomizzate (RCT) a lungo termine sull’uomo che verranno tutte analizzate in questo articolo.
Poiché questa ipotesi non trova solide conferme, prevedibilmente anche la teoria dell’accumulo di grasso dovuto ai picchi glicemici e insulinici causati alimenti ad alto IG ha basi solo teoriche non chiaramente dimostrate dalle analisi controllate più accurate (1,2), ovvero l’unico tipo di analisi che può realmente stabilire il nesso di causalità.
Indice
Effetti acuti: indice/carico glicemico e ossidazione post-prandiale dei substrati energetici
Secondo fisiologia, l’ingestione di carboidrati porta transitoriamente ad impiegare come energia questo nutriente al posto dei grassi, inibendo solo sul breve termine la liberazione e l’impiego energetico (ossidazione) di questi ultimi secondo meccanismi mediati dall’insulina (2,6). Un’ipotesi comune sostiene che i carboidrati ad alto IG sopprimono di più l’impiego energetico dei grassi e promuovono un maggiore accumulo di grasso rispetto ai carboidrati a basso IG (1,2). In realtà questa teoria non è stata solidamente provata, e valutando la mole di dati a disposizione non sembra che i carboidrati ad alto o basso IG influiscano in maniera molto differente su queste alterazioni metaboliche acute. Indipendentemente dall’entità dell’elevazione glicemica (e quindi da IG e CG), a parità di carboidrati l’insulina aumenta rispetto ai livelli basali inibendo allo stesso modo l’ossidazione lipidica e favorendo l’ossidazione glucidica nel periodo post-prandiale (1).
Un interessante studio sperimentale ha analizzato le differenze tra l’impatto di una stessa quantità di glucosio (50 g) ingerita tutta in una volta o distribuita equamente ogni 3.5 ore. Questo simula le differenze tra carboidrati a rapido e lento assorbimento, rispettivamente. Quando i soggetti assumevano i carboidrati distribuiti (a simulare i carboidrati “lenti”) la liberazione dei grassi (lipolisi) era più inibita rispetto a quando li assumevano tutti in una volta. I carboidrati distribuiti mantenevano l’insulina più bassa, ma prevedibilmente rimaneva elevata per un periodo di tempo maggiore. I carboidrati rapidi assunti tutti in una volta invece stimolavano maggiormente l’insulina, ma una volta ridotti i livelli la lipolisi si ristabiliva rapidamente (7). Questi dati sperimentali indicano che assumere una fonte di carboidrati a rapido assorbimento e ad alto IG riporta molto più rapidamente il metabolismo energetico a fare affidamento sui grassi rispetto ad assumere la stessa quantità di carboidrati assimilati in un arco di tempo molto maggiore.
Comunque, buona parte delle evidenze mostra che le differenze di insulinemia date da carboidrati ad alto o basso IG non sarebbero così rilevanti da impattare in maniera molto diversa sull’ossidazione dei substrati energetici (1): che sia più o meno elevata, l’aumento della disponibilità di glucosio esogeno e dell’insulina inibiscono in maniera simile l’ossidazione lipidica a parità di carboidrati assunti.
Nota tecnica: cenni sul metabolismo energetico post-prandiale
L’ingestione di carboidrati e la conseguente stimolazione dell’insulina di norma portano all’inibizione del rilascio dei grassi dal tessuto adiposo (lipolisi), all’inibizione dell’ossidazione lipidica a favore dell’ossidazione glucidica, e alla lipogenesi, cioè ad una ri-esterificazione degli acidi grassi liberi (FFA) e/o all’accumulo dei grassi alimentari assunti con il pasto (2,6). Questi effetti metabolici tuttavia si manifestano solo transitoriamente nel periodo post-prandiale (di digestione e assorbimento del pasto).
Questi dati sono in realtà parziali, in quanto non si considera che anche la sola ingestione di grassi (senza aumento dell’insulina) attiva gli enzimi lipogenetici e inibisce gli enzimi lipolitici (3), e gli acidi grassi nel sangue vengono accumulati efficientemente anche nel digiuno tramite riesterificazione (5). Questo significa che la lipogenesi avviene in maniera molto efficiente anche in totale assenza di insulina (3,4,5). Non è un caso che sia sempre stato dimostrato come – equiparando perfettamente le calorie sperimentalmente – diete ipocaloriche dall’identico apporto calorico ma dal diverso rapporto tra carboidrati e grassi portino a perdite di grasso simili (8) (argomento molto approfondito qui).
La rilevante conversione dei carboidrati in grassi (de novo lipogenesi, DNL) nella normalità non avviene, a meno che non si assumano quantità di carboidrati giornaliere eccessivamente alte, ben superiori ai limiti massimi suggeriti dalle linee guida (>65% TDEE), e in particolare con l’eccesso calorico (9) (per approfondimenti dettagliati si veda qui). Questo significa quantità pari o superiori ai 500 g di carboidrati anche in una sola assunzione per un uomo normopeso o obeso (10,11). Da queste evidenze si conferma che anche un pasto glucidico con un CG esageratamente elevato nella normalità non porta ad una conversione dei carboidrati assunti in grassi.
Un altro errore di questa ipotesi sta nel fatto che l’entità dell’elevazione della glicemia post-prandiale non è indicata dal IG ma bensì dal CG (12). Come spiegato nella seconda parte, un cibo ad alto IG può apportare ad un basso CG e viceversa. Ma da quanto detto sopra l’IG e il CG non sembra influiscano in maniera molto diversa sul metabolismo post-prandiale dei substrati energetici a parità di carboidrati assunti (1).
Effetti cronici: indice/carico glicemico e perdita di grasso
L’analisi degli effetti a breve termine (acuti) si limita a valutare solo cosa succede nel periodo che segue l’ingestione di carboidrati, ma non può rispondere ad alcuna domanda sugli effetti che l’IG e il CG hanno di per sé sulla perdita di grasso corporeo. Per valutare questo aspetto è necessario prendere in considerazione gli studi controllati (RCT) a lungo termine sull’uomo che paragonano le diete ad alto e a basso IG/CG, monitorando le variazioni della composizione corporea nel tempo (1,2).
Molti studi comparativi sono inattendibili in quanto non controllano accuratamente delle importanti variabili come le calorie, i macronutrienti, i carboidrati digeribili o le fibre (1,13), rendendo impossibile estrapolare il nesso di causalità. Altre ancora prevedono un’alimentazione non controllata (ad libitum), in cui le variabili non possono essere monitorate. Se non si equiparano tra i gruppi ad alto e basso IG le calorie (assimilabili) e i macronutrienti, non si può sapere cosa ha veramente inciso sulle variazioni di grasso, se l’IG e il CG stessi o altri fattori indipendenti. Per questo motivo è necessario prendere in considerazione solo gli studi che hanno paragonato l’effetto di una dieta ad alto o basso IG/CG sulla composizione corporea, ma che in entrambi i gruppi o le fasi mantenevano le calorie e il rapporto dei macronutrienti identico per escludere questi come fattori confondenti.
Poco noto è il fatto che una buona parte degli studi controllati che hanno eseguito questo tipo di confronto non hanno rilevato differenze significative nella perdita di grasso tra i gruppi che seguivano una dieta ipocalorica ad alto o a basso IG/CG (14,15,16,17,19). Alcuni studi hanno osservato un leggero vantaggio per chi seguiva la dieta a basso IG/CG (14,18,20,21), ma in molti di questi le diete non erano accuratamente controllate per poter equiparare perfettamente l’apporto di calorie e fibre tra i gruppi (18,20,21), e le differenze nella perdita di grasso comunque non erano significative (14,18,20,21). Inoltre in molti di questi studi comparativi i metodi per misurare la massa grassa erano di bassa qualità (14,16,17,21).
Sulla base delle evidenze ben controllate ad oggi pubblicate, l’IG e il CG non hanno dimostrato chiaramente un effetto causale sulla perdita di grasso corporeo (1,2): se le quantità di calorie, dei carboidrati e degli altri macronutrienti sono identiche, con tutta probabilità sul lungo periodo le perdite di grasso saranno simili che si assumano cibi ad alto o basso IG. Ciò significa che l’IG e il CG di per sé non influirebbero in maniera rilevante sulla perdita di massa grassa, ma sarebbero piuttosto fattori da essi indipendenti (1,2). Queste implicazioni comunque sarebbero valide soprattutto per il soggetto metabolicamente sano, sebbene tutte le evidenze riportate coinvolgessero sempre soggetti sovrappeso e obesi non-sportivi, a volte con problemi metabolici.
Effetti cronici del IG e CG nel contesto dell’abbondanza calorica
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2 risposte
Ringrazio i titolari del sito http://www.dcomedieta.com per avere citato questo articolo come riferimento per alcune citazioni nel loro articolo (http://www.dcomedieta.com/dieta-a-basso-indice-glicemico-il-menu/). Credo che sul web il mio lavoro sia l’unico che ha veramente racchiuso tutti gli studi comparativi su diete isocaloriche (cioè diete che apportano pari calorie) ma a indice e carico glicemico differenti, concludendo come non sia veramente provata l’ipotesi che una dieta a basso indice e carico glicemico faccia più dimagrire di per sé rispetto ad una dieta ad alto IG e CG (ribadisco, con calorie e macronutrienti equiparati).
Quindi per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento su base scientifica valutando solo il materiale autorevole pubblicato nella letteratura scientifica peer review, questo è forse l’unico articolo sul web che approfondire la cosa riportando tutte le ricerche sul tema.
Grazie ancora a dcomedieta.com e a Eleonora Bolsi.