Il danno metabolico (metabolic damage) è un termine generalmente associato alla depressione del metabolismo. Il suo significato tuttavia appare piuttosto ambiguo, dato che non sembra essere usato in maniera unanime da vari autori, alimentando così la confusione e le controversie che ruotano attorno al concetto.
Per come è stato definito recentemente nella letteratura scientifica, esso si riferisce a una depressione del metabolismo basale (BMR) indotta dalla perdita di peso superiore a quanto previsto dalla composizione corporea, che permane anche quando il peso viene riguadagnato (1).
Il fenomeno, quindi, viene descritto in maniera simile alla termogenesi adattativa (AT) del BMR nella restrizione calorica, con la differenza che la depressione sarebbe permanente invece che reversibile: in questo modo tale componente rimarrebbe depressa anche dopo il riguadagno di peso, e quindi “danneggiata” (1,2).
Indice
Origini e reale significato

Il concetto di danno metabolico è stato in origine descritto e introdotto nell’ambiente physique attorno al 2006 dal coach e bodybuilder canadese Scott Abel.
Nei forum del popolare sito americano elitefts.com venivano riportati alcuni scritti in cui l’autore descriveva questo fenomeno come una depressione del metabolismo, ottenuta durante la dieta per il cutting, che sarebbe permasa anche dopo essere tornati al peso pre-dieta (3).
Qualche anno dopo Abel pubblicherà un libro intitolato Metabolic Damage and the Dangers of Dieting (tradotto come “danno metabolico e i pericoli di seguire una dieta ipocalorica”), dove spiegava in maniera più approfondita le sue teorie.
Nel 2012 il termine è stato ripreso dal bodybuilder e ricercatore Layne Norton in un video su YouTube (4), dove lo descriveva in maniera del tutto analoga a quello che spesso la letteratura inerente alle diete commerciali chiama modalità carestia (starvation mode), cioè la causa dello stallo nella perdita di peso presumibilmente dovuta a un blocco temporaneo del metabolismo. Questo ha portato altri esperti dell’ambiente ad accettare la definizione rivisitata da Norton, e in definitiva a criticarla per la sua infondatezza (5).
Nella concezione originale di Abel tuttavia il danno metabolico assumeva un significato differente da quello attribuito da Norton, in quanto alludeva a una irreversibilità del ripristino del metabolismo una volta riguadagnato il peso iniziale, e non alla causa dello stallo durante la restrizione calorica (3).
Data la crescente popolarità del termine, nel 2016 i ricercatori Menno Henselmans e Anastasia Zinchenko hanno ufficializzato la definizione di danno metabolico nella letteratura scientifica, descrivendolo come la depressione permanente del solo metabolismo basale (BMR) che persiste dopo che il peso viene riguadagnato a livelli iniziali (1); un concetto simile, anche se non identico, a quello attribuito originariamente da Abel 10 anni prima.

Si tratta di una definizione apparentemente simile alla termogenesi adattativa nella restrizione calorica, ma l’importante differenza è che quest’ultima si riferisce in generale alla depressione – non per forza permanente – del metabolismo totale (TDEE), che di solito riguarda in gran parte o solo la componente non-basale (6,7).
Secondo la definizione “ufficiale”, quindi, il danno metabolico non ha niente a che vedere con il metabolismo non-basale (il quale include le componenti NEAT, EAT e DIT). Infine, l’eventuale differenza tra la definizione ufficiale scientifica e quella originale di Scott Abel, è che quest’ultimo non parlava esplicitamente di metabolismo basale, ma di metabolismo in maniera vaga e generica (3). In questo capitolo il danno metabolico verrà inteso secondo la definizione riconosciuta nella letteratura scientifica.
Evidenze scientifiche sul riguadagno di peso
Nella ricerca è stato spesso osservato che mantenere un peso minore di almeno il 10% risulta in una riduzione del TDEE del 10-15% maggiore di quanto previsto dalle variazioni della composizione corporea (6,7,8).
Gran parte della termogenesi adattativa (85-90%) interessa la componente non-basale del metabolismo, mentre il decremento del solo BMR nello specifico è molto marginale, al massimo di ~70-100 kcal, quindi non viene giudicato importante nel riguadagno di peso (6,7,8).
Questo comunque sembra confermare l’esistenza del danno metabolico, se esso è riferito a una permanente “termoriduzione” adattativa del solo BMR.
Alcuni ricercatori invece hanno concluso che nei soggetti non-obesi che recuperano il peso normale il danno metabolico non si verifica; in questi casi l’attività metabolica basale (BMR) ritorna alla normalità, o addirittura aumenta, dopo l’abbandono della dieta ipocalorica aumentando le calorie (1).
Questo fu ben confermato dallo storico Minnesota Starvation Experiment, dove con la rialimentazione il BMR si ristabilì a livelli più alti rispetto a prima del trattamento (1,9). Il ritorno del BMR alla normalità non sarebbe dato dal riguadagno della massa grassa iniziale, ma piuttosto dall’aumento dell’introito calorico (1), un processo che inizia a manifestarsi entro circa tre giorni dall’inizio della rialimentazione (10).
A questo proposito, vari gruppi di ricerca hanno ipotizzato che il BMR ritorni alla normalità solo una volta riguadagnata la massa grassa iniziale, ipotesi battezzata come “memoria dei depositi di grasso” (fat stores memory), legata alla cosiddetta termogenesi adiposo-specifica. In realtà questa ipotesi è stata messa in discussione da altri ricercatori, tra cui coloro che hanno analizzato la teoria del danno metabolico (1). Secondo queste posizioni alternative, il ripristino del BMR non è dato dal riguadagno dei livelli di grasso iniziali, ma dal semplice aumento dell’introito calorico (1).
Danno metabolico causato dal yo-yo dieting?
Secondo Abel, un tipico caso dove si manifesta il danno metabolico sarebbero gli anni di continue ciclicità di peso (“effetto yo-yo”) al quale si sottopongono gli atleti passando dalle competizioni al off-season. Tutto questo si basava sull’idea che nei cicli “yo-yo”, con la perdita di peso si perde anche FFM, e quando si ritorna al peso iniziale viene guadagnato più grasso che FFM.
Quindi ad ognuno di questi cicli di recupero del peso si sarebbe guadagnato sempre più grasso e sempre meno FFM, portando a una crescente depressione del BMR. Stando invece a quanto osservato nella ricerca in gran parte dei casi, i soggetti con una storia passata di frequenti diete ipocaloriche e oscillazioni di peso non accusano una riduzione permanente del BMR (11,12,13), invalidando la teoria del danno metabolico come originariamente concepita da Scott Abel.
Paradossalmente, la teoria di Abel non era basata sulla depressione del BMR mediata dalla termogenesi adattativa (AT), ma perlomeno in parte da una minore massa magra (FFM) riguadagnata durante il recupero del peso; ma la massa magra influisce sul dispendio energetico in maniera indipendente dalla AT. Questo conferma che la concezione originaria di danno metabolico di Abel è differente da quella ufficializzata nella letteratura scientifica.
Fallacie sul danno metabolico

La teoria del danno metabolico è stata rifiutata dalla maggior parte degli esperti e ricercatori specializzati nella composizione corporea, sostenendo che sia un mito (1,2,14).
Questi asseriscono, ad esempio, che anche se il BMR in alcuni casi può rimanere depresso mantenendo un peso ridotto, ciò che bisogna guardare è il metabolismo totale e non solo quello basale. In altri casi viene affermato che il danno metabolico si osserva negli ex-obesi ma non nei soggetti normali, che la depressione del BMR viene spesso sovrastimata a causa di errori di calcolo, o che un BMR depresso non è un predittore della tendenza a riguadagnare il peso (1).
Pur essendo tutte nozioni fondate, queste non negano che il BMR possa rimanere depresso, e quindi non negano che il fenomeno del danno metabolico possa esistere, se il suo significato corrisponde a quanto descritto ufficialmente.
Un’altra probabile confusione sull’esistenza del danno metabolico è legata allo specifico significato che gli viene attribuito. Questo potrebbe essere definito come 1) un declino del BMR che permane anche dopo che il peso viene riguadagnato ai livelli iniziali, oppure 2) un declino del BMR che permane dopo il riguadagno e il mantenimento di un peso ridotto (di almeno il 10%) rispetto alla partenza. Il primo si riferisce più facilmente al caso degli atleti che tornano alla normalità dopo le competizioni, il secondo si riferisce agli ex-obesi/sovrappeso che mantengono un peso normale o più vicino alla normalità.
Come detto sopra, la prima concezione sarebbe stata smentita (1,9), mentre la seconda è stata più volte confermata (6,7,8). Il possibile argomento fallace consiste nel dare per scontato che il danno metabolico si riferisca solo al primo caso e non al secondo (1,14), in maniera che sia facile smentirne l’esistenza.
Tuttavia, il fatto che nei soggetti non-obesi e negli atleti che recuperano il peso iniziale il danno metabolico non si manifesta, non significa che la riduzione permanente del BMR nel riguadagno di peso non esista o che sia un mito dal punto di vista fisiologico. Infatti gli stessi critici potrebbero contraddirsi, confermando che la depressione del metabolismo può effettivamente rimanere permanente a lungo termine (14).
Metabolismo basale ridotto non significa metabolismo totale ridotto
Una certa confusione sugli argomenti riguardanti il metabolismo, anche in questo caso nasce dallo scambiare il metabolismo basale con quello totale. La termogenesi adattativa (AT) per definizione si riferisce alle variazioni potenziali di tutte le componenti del TDEE, e non solo del BMR, mentre il danno metabolico viene riferito solo alla depressione del BMR.
Tuttavia, possono esistere casi ipotetici in cui il BMR rimane depresso rispetto alla situazione iniziale, anche se il TDEE potrebbe essere mantenuto simile o più elevato di prima. Questa differenza sarebbe spiegata dalle componenti del metabolismo non-basale facilmente manipolabili, ovvero la NEAT e la EAT (sport).
Quindi anche se negli ex-obesi il BMR può rimanere un po’ depresso rispetto allo stato di obesità (danno metabolico), questo non significa che il metabolismo totale sarà per forza altrettanto depresso.
Esistono infatti vari modi per sopraffare l’eventuale depressione permanente del BMR indotta dalla termogenesi adattativa (cioè, il danno metabolico) negli ex-obesi. Alcuni dei più importanti studi che hanno osservato una minima depressione permanente del BMR durante il mantenimento del peso ridotto, assegnavano un apporto fortemente ipoproteico (30 g/die, cioè al di sotto del fabbisogno minimo di 0.8 g/kg) senza attività fisica (6). Si è osservato però che se durante la forte restrizione calorica gli obesi assumono un apporto proteico sufficiente (≥80 g/die), e lo combinano con l’esercizio con sovraccarichi, il BMR può addirittura aumentare rispetto alla situazione iniziale (6). Quindi anche se la AT permanesse, il BMR potrebbe essere aumentato mediante alcune strategie sopraffacendola.
Conclusioni
In conclusione, il danno metabolico è stato frequentemente osservato, ma la sua entità è marginale, viene riscontrato solo nella popolazione ex-obesa che mantiene un peso significativamente ridotto, e se si manifesta non ha un impatto negativo rilevante sulla depressione del metabolismo totale o sul mantenimento del peso.
D’altra parte è vero anche che mantenendo un peso ridotto il TDEE tende ad essere più basso, in parte per il minore peso in sé, in parte perché le componenti più influenzate dalla AT sono quelle non-basali quali la NEAT e la EAT (6,7,8), che non sono associate al concetto di danno metabolico.
Nulla vieta di agire deliberatamente sull’incremento di queste ultime componenti per mantenere il TDEE molto elevato anche se il BMR risultasse leggermente depresso. Questo vuol dire che anche se può esistere un leggero “danno” metabolico del BMR per gli ex-obesi che mantengono un peso ridotto, ciò non rappresenta un reale ostacolo per mantenere alto il metabolismo.
Nel soggetto normopeso l’attività metabolica è molto flessibile, e si adatta – tramite la componente adattativa appunto – alle varie situazioni ambientali con una grande plasticità. Dal punto di vista pratico questo implica che non abbia senso esprimere preoccupazioni su come evitare una depressione del metabolismo dato che questa, oltre ad essere reversibile, è perfettamente gestibile tramite il controllo dei livelli di attività non-sportiva (NEAT) e sportiva (EAT), e tramite le giuste scelte dietetiche.
Riferimenti:
- Zinchenko A, Henselmans M. Metabolic damage: do negative metabolic adaptations during underfeeding persist after refeeding in non-obese populations? Med Res Arch. 2016 Dec; 4(8).
- Aragon AA. Lyle McDonald on the ‘metabolic damage’ concept. Alan Aragon Res Rev. Apr-may, 2013.
- Abel S. Metabolic Damage. elitefitness.com. Jun 30, 2006.
- Norton L. BioLayne Video Log 9 – Metabolic Damage. youtube.com. Dec 6, 2012.
- Aragon AA. Does reverse dieting build metabolic capacity? Alan Aragon’s Res Rev. 2014 Feb-Mar
- Aragon AA et al. International Society of Sports Nutrition position stand: diets and body composition. J Int Soc Sports Nutr. 2017; Jun 14;14:16.
- Müller MJ et al. Changes in energy expenditure with weight gain and weight loss in humans. Curr Obes Rep. 2016; 5(4): 413–423.
- Rosenbaum M et al. Long-term persistence of adaptive thermogenesis in subjects who have maintained a reduced body weight. Am J Clin Nutr. 2008 Oct;88(4):906-12.
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- Müller MJ et al. Metabolic adaptation to caloric restriction and subsequent refeeding: the Minnesota Starvation Experiment revisited. Am J Clin Nutr. 2015 Oct;102(4):807-19.
- McCargar LJ et al. Metabolic and anthropometric changes in female weight cyclers and controls over a 1-year period. J Am Diet Assoc. 1993 Sep;93(9):1025-30.
- McCargar LJ et al. Chronic dieting does not result in a sustained reduction in resting metabolic rate in overweight women. J Am Diet Assoc. 1996 Nov;96(11):1175-7.
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- McDonald L. Women’s Book: A Guide to Nutrition, Fat Loss, and Muscle Gain. Lyle McDonald, 2018.