Un argomento molto trattato non solo nella letteratura scientifica, ma anche tra vari esperti di alimentazione low carb e chetogenica, è quella del presunto effetto antagonista di un eccesso di proteine sulla produzione di corpi chetonici.
Secondo molti esperti, per consentire la massima espressione di questo processo bisognerebbe stare particolarmente attenti a non superare certe quantità di proteine nella dieta, altrimenti si andrebbe incontro a quello che in inglese viene chiamato volgarmente “kicked out of ketosis”, cioè si finirebbe “spinti fuori dalla chetosi”, per diversi potenziali motivi teorici approfonditi nell’articolo.
Indice
Il range proteico ottimale e il tetto massimo teorico
Proprio perché si crede che le proteine abbiano un effetto antagonista sulla chetogenesi più o meno marcato, molti autori specializzati hanno fornito delle linee guida sui range ottimali, e quindi sul tetto massimo di proteine accettabile in questo tipo di alimentazione: molto spesso si parla di un range tra 1.2-1.4 e 1.7-2.2 g/kg (1,2).
Alcuni scienziati però suggeriscono che per gli sportivi si possa arrivare a 2.5 g/kg (2,3), dei livelli che già potrebbero essere considerati da altri esperti ben oltre le soglie massime accettabili per mantenere efficientemente la chetosi (1).
McDonald proponeva che l’apporto proteico potesse essere aggiustato in base alla specifica fase dell’adattamento chetotico (keto-adaptation). Nelle prime 3 settimane, quando le richieste di glucosio rimangono elevate, suggeriva per i sedentari un apporto proteico relativo di 1.75 g/kg, oppure un apporto proteico assoluto minimo di 150 g nel caso i g/kg avessero dato valori inferiori (4).
Ma per i soggetti sportivi l’apporto proteico avrebbe dovuto essere leggermente più elevato, a 2 g/kg. Queste quantità rientrano all’incirca ai livelli più elevati del range stabilito da altri esperti, ma rientrano anche all’interno dei range suggeriti per gli sportivi (5). Dopo le prime 3 settimane l’apporto proteico avrebbe potuto essere ridotto leggermente di 0.1-0.2 g/kg, per limitare l’azione anti-chetogenica una volta che il tipico effetto di risparmio proteico si è solidamente instaurato (4).
In conclusione, non esistono linee guida molto precise sull’apporto proteico ottimale nella dieta chetogenica, ed è possibile notare che i range possibili sono estremamente ampi. Ad ogni modo sembra che 2.2-2.5 g/kg siano i livelli massimi all’interno dei range accettabili, dei livelli che però potrebbero risultare in eccesso per permettere che la chetogenesi sia attivata in maniera ottimale.
Le ipotesi
Esistono per la precisione due teorie differenti sul perché si dovrebbe contenere l’apporto proteico in una dieta chetogenica per evitare di essere “spinti fuori” dalla chetosi.
Ipotesi della gluconeogenesi e dell’insulina
La gluconeogenesi (GNG) è quel processo prevalentemente epatico per cui alcuni substrati non-glucidici, ovvero piruvato, lattato, glicerolo e amminoacidi (glucogenetici), vengono convertiti in glucosio.
Tuttavia il tasso di conversione dei primi tre è limitato, mentre la maggior parte della GNG è sostenuta dalle proteine, che anche per questo motivo dovrebbero essere approvvigionate in quantità sufficiente per prevenire il catabolismo delle proteine endogene (2,6).
Dato che secondo alcuni dati le proteine alimentari verrebbero convertite a glucosio fino a ben il 60% (7,8), con un alto apporto proteico la conseguenza sarebbe un aumento eccessivo della glicemia e dell’insulinemia, cioè fattori che ostacolerebbero la chetogenesi (4,9).
Ipotesi dell’ossalacetato
La chetogenesi (KG) indica il processo di produzione dei corpi chetonici, che ha luogo ancora nel fegato tramite l’ossidazione degli acidi grassi in scarsità di ossalacetato (OAA). L’OAA è l’intermedio metabolico generato dall’ossidazione del glucosio (carboidrati) che impedisce la produzione dei corpi chetonici nel fegato, a livello mitocondriale (2).
Si tratta in altre parole di quella via biochimica su cui si basa il famoso aforisma “i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”, secondo cui appunto l’OAA (normalmente derivato dai carboidrati) permette la completa ossidazione dei grassi nel fegato tramite il ciclo di Krebs, e quindi previene la via alternativa della chetogenesi.
In realtà anche le proteine alimentari permettono la generazione di OAA (2), che è la base di questa teoria secondo cui troppe proteine alimentari inibirebbero la chetogenesi, facendo in modo che l’ossidazione degli acidi grassi liberi (FFA) venga completata tramite il ciclo di Krebs.
Analisi della teoria della gluconeogenesi e dell’insulina
La teoria della gluconeogenesi/insulina è forse quella più criticabile. Ad esempio, il nutrizionista e ricercatore Chris Masterjohn spiega che poiché nella dieta chetogenica la gluconeogenesi (GNG) e la chetogenesi (KG) avvengono in parallelo a causa della restrizione dei carboidrati, questi non sono processi antagonisti tra loro: il contesto in cui avviene la KG richiede che sia attiva anche la GNG (10).
Il glucosio generato dalla GNG epatica quindi non verrebbe utilizzato dal fegato stesso (motivo per cui, altrimenti, bloccherebbe la KG), ma sarebbe prodotto con il solo scopo di lasciare il fegato ed essere direzionato verso i tessuti glucosio-dipendenti (soprattutto il cervello), per cui il glucosio è prioritario (6). I chetoni invece vengono utilizzati dai vari tessuti, ad un tasso variabile in base a quanto il corpo è adattato alla chetosi (cioè in base allo stadio della keto-adaptation). Masterjohn quindi sostiene che la KG non è legata all’abbassamento dell’insulina e ai carboidrati come suoi stimolatori; ciò spiegherebbe in parte perché le proteine non ostacolano la chetosi pur essendo insulinogeniche, e in definitiva smentirebbe l’ipotesi della GNG/insulina (10).
Esistono vari ulteriori motivi non spiegati dall’autore per cui la teoria della GNG appare discutibile. Ad esempio, non solo variare fortemente i carboidrati nella dieta non altera molto il tasso di GNG epatica (12), ma l’aumento dell’insulina indotto da un pasto proteico non è neppure dovuto all’aumento della glicemia (presumibilmente dovuto alla GNG) (28,29). Come se non bastasse, durante la fase di adattamento chetotico la GNG subisce una progressiva soppressione entro la terza settimana, in concomitanza con un progressivo aumento della chetonemia (2,6).
Inoltre, già dagli anni ’30 è stato osservato che nel soggetto sano le proteine non incrementano molto la glicemia via GNG (7,11); anche se una parte consistente delle proteine alimentari (50-60%) può essere convertita in glucosio, questo non si traduce per forza in un proporzionale incremento glicemico (7). L’equivoco è probabilmente dovuto al fatto di scambiare le risposte del soggetto sano con quelle del diabetico, specie insulino-dipendente (tipo 1), che accusa una GNG incontrollata e per cui spesso si può osservare un incremento glicemico post-ingestione di proteine (7,12).
Analisi della teoria dell’ossalacetato
Masterjohn passa poi all’ipotesi dell’ossalacetato. Tra i tre macronutrienti, i carboidrati e le proteine generano sia acetil-CoA che OAA, mentre i grassi generano solo acetil-CoA, motivo per cui solo i grassi sono pienamente chetogenici. Quindi mantenere un alto apporto proteico nella dieta chetogenica permette di generare molto OAA, anche se questo viene in parte deviato dal ciclo di Krebs verso i processi di sintesi di nuovi amminoacidi e di glucosio (GNG), a causa della restrizione dei carboidrati.
Ovvero, anche se le proteine attenuano la deplezione di OAA perché ne sostengono la generazione, la forte restrizione dei carboidrati andrebbe a sopraffare l’effetto antagonista delle proteine in questo senso: in questo modo la chetogenesi non verrebbe inibita, ma al massimo attenuata (10).
Masterjohn e alcuni scienziati sostengono anche che durante la chetosi sia meglio approvvigionare OAA tramite le proteine, sia per risparmiare massa muscolare (10), sia per mantenere la funzione del ciclo di Krebs (3,10). Questo perché i chetoni non generano OAA, ma subendo ossidazione tramite il ciclo di Krebs (13) necessitano di questo composto; i chetoni sono anche un combustibile preferenziale per il muscolo (anche se, a riposo, questo in realtà è vero nelle prime settimane di keto-adaptation), la cui ossidazione richiede OAA, che altrimenti verrebbe ricavato dalle proteine endogene.
Comunque, l’autore non mette proprio in discussione l’ipotesi dell’ossalacetato, ma sostiene semplicemente che essa sia quella più corretta per spiegare l’effetto antagonista delle proteine sulla chetogenesi; altra cosa importante, egli sostiene che la dieta iperproteica non sopprime la chetogenesi. Masterjohn quindi non dimostra chiaramente che un eccesso di proteine, oltre una certa soglia, blocca la chetogenesi a causa della produzione di OAA, quindi ciò non risolve il dubbio sulla correttezza dell’ipotesi.
Cosa definisce la chetosi fisiologica?
Prima di passare al vaglio degli studi più importanti sul tema, è necessario precisare da cosa è definita la chetosi fisiologica. Per una buona parte degli scienziati, una chetosi alimentare ben instaurata presenta una concentrazione di chetoni nel sangue (per la precisione di β-idrossibutirrato) pari o superiore a 0.5 mmol/L (14,15,16), ma altri ricercatori abbassano le soglie a 0.2 (13) o 0.3 mmol/L (17).
Quindi se negli studi su diete iperproteiche si osservano concentrazioni simili o superiori a queste, significa che l’apporto proteico assegnato non è sufficientemente anti-chetogenico da provocare l’inibizione della chetogenesi, e può essere giustificato per mantenere al meglio la massa magra e muscolare e permettere una migliore ossidazione dei corpi chetonici.
Al contrario, se con un apporto iperproteico la chetonemia risulta più bassa di questi valori, non è per forza detto che la causa sia da attribuire perlomeno esclusivamente all’apporto iperproteico, ma ad altri fattori che possono influire negativamente sul rapporto chetogenico.
Cosa dice l’evidenza scientifica?
Come spesso accade nel trattare argomenti scientifici, non viene fatta distinzione tra il tentativo di prevedere ciò che dovrebbe accadere valutando solo alcuni meccanismi presi a sé stante (ipotesi), e quello che si verifica effettivamente (evidenza).
A questo proposito è curioso notare che diversi scienziati per primi hanno sostenuto queste ipotesi (1,18,19), senza però ben valutare i risultati osservati dagli esperimenti sull’uomo, pubblicati anche da molto tempo.
Gli studi controllati a lungo termine pubblicati tra gli anni 2000 e gli anni 2010 hanno osservato che con apporti proteici fino a 2.1-2.2 g/kg, la concentrazione di chetoni nel sangue era superiore alle soglie minime di 0.5 mmol/L (20,21); in uno di questi studi, con 2.2 g/kg di proteine la chetonemia ammontava a 0.3 mmol/L (22), mentre in un altro ammontava a circa 0.5 mmol/L con una media di 2.2-2.5 g/kg di proteine (23). Forse lo studio tra i vari pubblicati dove l’apporto proteico era più elevato, con 2.8 g/kg riscontrò delle concentrazioni di chetoni nelle urine (chetonuria) all’interno dei range della chetosi (9). A questo punto possono essere raccolti diversi indizi sul fatto che perlomeno fino a 2.2-2.5 g/kg le proteine non ostacolano la chetosi.
Ma esiste uno studio forse più emblematico tra tutti che farebbe riflettere sul presunto effetto antagonista delle proteine sulla chetogenesi, ovvero quello di Leckey et al. del 2018 (24). Con un disegno in crossover, 8 ciclisti maschi vennero assegnati a una dieta moderatamente glucidica (200 g/die) per 5 giorni per trattamento, ma in una fase il 65% delle calorie rimanenti era coperto dai grassi, nell’altro la stessa percentuale era coperta dalle proteine. Il 65% delle calorie corrispondeva a ben 8.8 g/kg di proteine (± 680 g/die), probabilmente tra le quantità proteiche più alte testate nella ricerca sull’uomo.
Nonostante la breve durata dei trattamenti, si osservò che nella fase iperproteica le concentrazioni sieriche di β-idrossibutirrato erano molto simili a quelle della fase iperlipidica. Se le proteine avessero avuto un forte effetto anti-chetogenico rispetto ai grassi, come vuole il rapporto chetogenico, allora la chetonemia avrebbe dovuto essere molto più alta nel trattamento iperlipidico-ipoproteico.
Conclusioni
Nella dieta chetogenica superare certi livelli di proteine è sempre stato motivo di preoccupazione, perché si crede che un eccesso – comunque indefinito – possa inibire la chetosi o attenuarla rispetto ai livelli ottimali. Alcuni dei meccanismi proposti sono stati messi in discussione, mentre altri sembrano essere più accreditati.
Al di là di quale sia il preciso meccanismo alla base di questo presunto antagonismo, il fatto che le proteine abbiano un potenziale effetto anti-chetogenico non significa per forza che livelli proteici elevati provochino l’inibizione della chetogenesi, perlomeno nel soggetto sano.
I vari studi pubblicati forniscono dei forti indizi a sostegno del fatto che anche livelli proteici molto elevati (2.5-3 g/kg) non inibiscono la chetogenesi rispetto a livelli più moderati. Nonostante si richiedano ulteriori approfondimenti, sicuramente la preoccupazione per “l’eccesso” di proteine durante una dieta chetogenica necessita di essere fortemente ridimensionata rispetto a quanto si crede non solo nel senso comune, ma anche nel mondo scientifico.
Implicazioni pratiche
Dal punto di vista pratico i range proteici accettabili per un soggetto sedentario e non-sportivo possono variare da 1.2-1.4 a 1.8-2 g/kg, anche se va tenuto conto del fatto che i livelli più alti all’interno di questo range possono favorire un migliore controllo dell’appetito (25), a vantaggio di una migliore sostenibilità a lungo termine.
Inoltre, i livelli più elevati in questo range riducono il rischio di perdere massa magra durante la restrizione calorica (26), che è praticamente sempre presente in chi segue questi regimi dato che viene instaurata spontaneamente (27) (per approfondimenti si veda ad libitum dieting per perdere grasso).
Nonostante l’articolo non sia rivolto ai soggetti patologici, per i diabetici (specie di tipo 1) la teoria della gluconeogenesi (GNG) potrebbe avere un fondamento, quindi può essere suggerito precauzionalmente mantenere l’apporto proteico a livelli più moderati nel range sopra indicato, a causa di una possibile disregolazione di questo processo. Questo vale soprattutto se nel pratico si riscontra difficoltà a instaurare la chetosi.
Per il soggetto sportivo i range possono essere spostati a 1.6-2.5 g/kg, in maniera che coincidano sia con i livelli ideali suggeriti per gli sportivi in generale (5), sia con quelli ideali per l’applicazione della dieta chetogenica nello sport (2). Non si esclude la possibilità di raggiungere anche i 3 g/kg nel caso di una forte restrizione calorica, anche se per precauzione si potrebbero valutare le differenze della chetonuria (concentrazione di chetoni nelle urine) con il Ketostix®.
Infine, dato che le proteine possono comunque avere un blando effetto anti-chetogenico, è opportuno valutarne la riduzione nel caso si incontri una difficoltà a instaurare la chetosi, quando le proteine nella dieta risultano particolarmente elevate (>2.5 g/kg) in concomitanza con un apporto di carboidrati già ridotto al minimo (≤20 g/die).
Riferimenti:
- Volek JS, Phinney SD. The Art and Science of Low Carbohydrate Performance. Beyond Obesity LLC, 2012.
- Paoli A et al. The ketogenic diet and sport: a possible marriage? Exerc Sport Sci Rev. 2015 Jul;43(3):153-62.
- Chang CK et al. Low-carbohydrate-high-fat diet: can it help exercise performance? J Hum Kinet. 2017 Feb; 56: 81–92.
- McDonald L. The Ketogenic Diet: A Complete Guide for the Dieter and Practitioner. Lyle McDonald, 1998, pp. 53.
- Morton RW et al. A systematic review, meta-analysis and meta-regression of the effect of protein supplementation on resistance training-induced gains in muscle mass and strength in healthy adults. Br J Sports Med. 2018 Mar;52(6):376-384.
- Manninen AH. Very-low-carbohydrate diets and preservation of muscle mass. Nutr Metab (Lond). 2006 Jan 31;3:9.
- Franz MJ. Protein controversies in diabetes. Diabetes Spectrum. 2000 13(3):132–41.
- Jungas RL et. al. Quantitative analysis of amino acid oxidation and related gluconeogenesis in humans. Phys Rev. 1992 72: 419-448.
- Klement RJ et al. A pilot case study on the impact of a self-prescribed ketogenic diet on biochemical parameters and running performance in healthy and physically active individuals. Nutr Med. 2013 1(1): 10.
- Masterjohn C. Ketogenic Diets Aren’t All About Carbs and Insulin. youtube.com. Aug 2016.
- Gaudichon C et al. Time course of fractional gluconeogenesis after meat ingestion in healthy adults: a D2O study. Am J Physiol Endocrinol Metab. 2018 Oct 1;315(4):E454-E459.
- Nuttall FQ et al. Regulation of hepatic glucose production and the role of gluconeogenesis in humans: is the rate of gluconeogenesis constant? Diabetes Metab Res Rev. 2008 Sep;24(6):438-58.
- Robinson AM, Williamson DH. Physiological roles of ketone bodies as substrates and signals in mammalian tissues. Physiol Rev. 1980 60: 143-187.
- Volek JS et al. Rethinking fat as a fuel for endurance exercise. Eur J Sport Sci. 2015;15(1):13-20.
- Harvey CJDC et al. The use of nutritional supplements to induce ketosis and reduce symptoms associated with keto-induction: a narrative review. PeerJ. 2018 Mar 16;6:e4488.
- Gershuni VM et al. Nutritional ketosis for weight management and reversal of metabolic syndrome. Curr Nutr Rep. 2018 Sep;7(3):97-106.
- Wilson JM et al. The effects of ketogenic dieting on body composition, strength, power, and hormonal profiles in resistance training males. J Strength Cond Res. 2017 Apr 7.
- Phinney S et al. Ketogenic diets and physical performance. Nutr Metab (Lond). 2004; 1:2.
- Fukao T et al. Pathways & control of ketone body metabolism: On the fringe of lipid biochemistry. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 2004 Mar;70(3):243-51.
- Volek JS Metabolic characteristics of keto-adapted ultra-endurance runners. Metabolism. 2016 Mar;65(3):100-10.
- Burke LM et al. Low carbohydrate, high fat diet impairs exercise economy and negates the performance benefit from intensified training in elite race walkers. J Physiol. 2017 May 1;595(9):2785-2807.
- Fleming J et al. Endurance capacity and high-intensity exercise performance responses to a high fat diet. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2003 Dec;13(4):466-78.
- Cannataro R et al. Ketogenic diet acts on body remodeling and microRNAs expression profile. MicroRNA. 2019;8, 1-12.
- Leckey JJ et al. High dietary fat intake increases fat oxidation and reduces skeletal muscle mitochondrial respiration in trained humans. FASEB J. 2018 Jun;32(6):2979-2991.
- Pesta DH, Samuel VT. A high-protein diet for reducing body fat: mechanisms and possible caveats. Nutr Metab (Lond). 2014; 11: 53.
- Carbone JW et al. Skeletal muscle responses to negative energy balance: effects of dietary protein. Adv Nutr. 2012 Mar 1;3(2):119-26.
- Paoli A et al. Ketogenic diet for obesity: friend or foe? Int J Environ Res Public Health. 2014 Feb; 11(2): 2092–2107.
- Pal S, Ellis V. The acute effects of four protein meals on insulin, glucose, appetite and energy intake in lean men. Br J Nutr. 2010 Oct;104(8):1241-8.
- Tentolouris N et al. Diet-induced thermogenesis and substrate oxidation are not different between lean and obese women after two different isocaloric meals, one rich in protein and one rich in fat. Metabolism. 2008 Mar;57(3):313-20.