Il refeed è una strategia alimentare che consiste nell’organizzare strategicamente, all’interno di un periodo a lungo termine (come una settimana o due), delle giornate in cui vengono aumentati i carboidrati e le calorie attorno ai livelli di mantenimento (TDEE).
Spesso viene intesa come strategia da rispettare una volta a settimana, ma durante le diete per la definizione/perdita di grasso il refeed può essere introdotto per più volte a settimana al fine di ottimizzare quelli che sono i suoi vantaggi teorici in termini di riequilibrio ormonale e prevenzione del declino metabolico.
L’articolo approfondisce la tematica dei refeed multi-giornalieri (multi-day refeed) per valutare se possano avere un vantaggio quando applicati in una dieta ipocalorica. In particolare viene introdotto e approfondito il concetto di refeed trigiornaliero, ovvero un refeed multi-giornaliero in cui le diverse giornate vengono seguite consecutivamente. Si avanza l’ipotesi che a parità di numero di refeed in un perodo a lungo termine, la cadenza a giorni consecutivi possa risultare più vantaggiosa a livello di effetti metabolici-ormonali e di risultato finale.
Indice
Calorie cycling
Il calorie shifting (o calorie cycling) è un termine generico utilizzato per definire quei modelli alimentari dove l’apporto calorico è semplicemente incostante, un principio molto spesso rispettato deliberatamente nei programmi per perdere peso.
Questo approccio generale è testato da molte ricerche, caratterizzando ad esempio il classico digiuno intermittente di tipo Intermittent Energy Restricion (IER), dove si alternano giorni di forte restrizione calorica e giorni al mantenimento.
L’aspetto comune tra questi approcci è di solito che il bilancio calorico come inteso su base settimanale preveda una restrizione (quindi non giornaliera, ma sul lungo termine), anche se in alcune fasi di questo periodo a lungo termine si assumono calorie pari o superiori al proprio dispendio energetico, annullando temporaneamente il deficit calorico.
Nel 2014 un gruppo di ricercatori ha introdotto il termine calorie shifting nella letteratura scientifica (1,2), riferendosi a un pattern piuttosto definito dove si prevedevano delle brevi fasi di refeed prolungate a cadenza regolare.
Gli studi di Davoodi et al. (2014) (1,2)
Davoodi et al. (2014) hanno testato un protocollo dietetico dove i soggetti seguivano una dieta con un deficit calorico di ~45% per 11 giorni consecutivi, alternata a 3 giorni di dieta ad libitum, cioè dove il consumo di cibo era spontaneo o a piacere. I ricercatori hanno confrontato questo schema con una normale dieta ipocalorica cronica, con un deficit energetico di ben il 55%.
La breve fase ad libitum della dieta calorie shifting si avvicinava ad intrioiti calorici attorno al mantenimento. Infatti le calorie assunte in queste fasi ammontavano a ~2000 kcal contro i giorni di restrizione a ~1400 kcal.
Lo studio osservò che, in 6 settimane, il calorie shifting fosse capace di limitare il fisiologico declino del metabolismo basale (normale conseguenza della dieta ipocalorica), pur permettendo una simile perdita di grasso rispetto al gruppo che seguiva la dieta ipocalorica cronica (in realtà superiore in media di 0.8 kg, quindi non significativa):
Tutte le caratteristiche della dieta calorie shifting (CSD) sulla riduzione del peso e della massa grassa durante il trattamento erano simili agli effetti della restrizione calorica cronica, ad eccezione del metabolismo basale, che durante lo studio è rimasto invariato nei soggetti [del gruppo] CSD. […] Infine, una maggiore soddisfazione e una bassa percentuale di [abbandoni], hanno dimostrato i potenziali clinici del CSD.
Il team di Davoodi ha condotto un ulteriore studio sul calorie shifting lo stesso anno (2) sperimentando lo stesso protocollo alimentare e con risultati simili. In questo caso si è testato anche l’impatto supplementare indotto dalla caffeina (5 mg/kg), che non ha offerto vantaggi nella perdita di grasso.
Commento
Gli studi di Davoodi et al. farebbero intendere che la chiave per impedire almeno parzialmente il declino del metabolismo è proprio organizzare dei brevi periodi ciclici di alimentazione “non ristretta”.
Curiosamente la restrizione calorica giornaliera era superiore del 10% in chi seguiva l’ipocalorica cronica (deficit calorico del 55% vs 45%, o ~1200 kcal vs ~1400 kcal/die), e considerando che il gruppo calorie shifting raggiungeva ~2000 kcal nei blocchi da 3 giorni di refeed ogni 11 giorni, questo riduceva ulteriormente il deficit settimanale durante le 6 settimane complessive.
Ciò nonostante i gruppi ottennero una simile perdita di grasso, suggerendo che nonostante la restrizione calorica molto inferiore il calorie shifting avesse un vantaggio: più calorie settimanali per un simile dimagrimento.
Analisi critica
A scanso di equivoci, come spesso accade per studi del genere esistono diverse limitazioni che impediscono di capire se realmente il vantaggio fosse intrinseco, oppure frutto di qualche artefatto minimizzato o ignorato dagli autori. In primo lugo ciò si capisce dall’alimentazione “self-reported” sui questionari, metodo notoriamente inaccurato per garantire il pieno controllo e la parità calorica tra i gruppi.
Un altro aspetto importante è l’adesione, che è stata prevedibilmente molto superiore per il gruppo calorie shifting. Il gruppo che seguiva la forte restrizione calorica cronica vedeva il doppio degli abbandoni, lasciando pensare che i soggetti che continuarono l’esperimento fino alla fine probabilmente aderirono molto peggio rispetto ai soggetti del gruppo calorie shifting.
Del resto un deficit calorico cronico del 55% è tutt’altro che sostenibile, soprattutto sulla popolazione obesa che ha notoriamente problemi di adesione.
Solo questi due fattori lasciano capire l’impossibilità di stabilire un’intrinsecità nell’efficacia del metodo, facendo fortemente dubitare che esistano dei vantaggi se un soggetto è perfettamente capace di aderire e mantenere il pieno controllo calorico (come accade per gli atleti). Lo studio inoltre coinvolgeva soggetti sovrappeso-obesi e non-sportivi, quindi la popolazione esaminata aveva poco a che fare con gli aesthetics, mentre venne usata la BIA per misurare la composizione corporea, metodo notoriamente poco affidabile.
In ogni caso gli studi di Davoodi sembrano interessanti dal punto di vista del metodo, perché hanno testato dei refeed consecutivi ma più diluiti rispetto a quelli normalmente proposti nel bodybuilding, dove il refeed di solito viene organizzato ogni 3-6 giorni. Quindi i refeed si potrebbero introdurre anche in maniera più rarefatta ma per più giorni consecutivi, ad esempio 3 giorni ogni 10-14 giorni, e nella peggiore delle ipotesi potrebbero semplicemente favorire l’adesione.
La durata dei refeed: single-day refeed e multi-day refeed
La durata comune dei refeed nell’ambito bodybuilding e fitness è piuttosto contenuta, di solito si parla di un giorno settimanale, da alcuni chiamato single-day refeed (3).
Man mano che la massa grassa si riduce e che le alterazioni ormonali si manifestano in maniera più concreta, è stato spesso proposto di aumentare la loro durata e/o la frequenza (3,4).
Qualche autore infatti parla dei cosiddetti multi-day refeed (3) (refeed multi-giornalieri), cioè l’organizzazione di più di un refeed all’interno della settimana da introdurre soprattutto quando la massa grassa scende al di sotto di certe soglie critiche (3,4).
In genere però non si menziona se i refeed multi-giornalieri debbano essere strutturati in giorni consecutivi o in maniera intermittente all’interno della settimana. Gli studi di Davoodi suggerirebbero che la struttura ottimale sarebbe di tre giornate di refeed consecutive, ovvero un multi-day refeed “trigliornaliero”.
Il multi-day refeed di tre giorni organizzato dal gruppo di Davoodi coincide più o meno con le vecchie intuizioni che Lyle McDonald aveva espresso nel suo libro sulla Ultimate Diet2.0 (2003) per ripristinare l’attività leptinica:
“Mentre è vero che 5 (o 12 o 24) ore di sovralimentazione concentrata aumenteranno la leptina, la domanda più importante è se ciò sia sufficiente per “comunicare” al cervello di essere alimentati [cioè, provvisti di abbondanza energetica]. Mentre i dati (specie sull’uomo) sono inesistenti [era il 2003], il mio presentimento è che [queste tempistiche] non lo siano.
Il mio ragionamento di base è questo: ad esempio c’è un ritardo di diversi giorni tra il calo della leptina e il calo dell’attività metabolica (l’output del sistema nervoso); sarei sorpreso se sole 12 o 24 ore siano sufficienti per invertire questo [adattamento]. Piuttosto, mi aspetterei [che sia necessario] aspettare una simile quantità di tempo per ciò che l’inversione si verifichi.
[…] Con questo non voglio dire che brevi ricariche di carboidrati/refeed non siano benefiche […] Ma dubito che siano sufficienti per influenzare molto il metabolismo. Piuttosto, probabilmente devono essere necessari dei refeed più lunghi.” (5)
Nel libro McDonald non aveva specificato quanto potessero durare i refeed per ristabilire la leptina e il metabolismo per invertire gli effetti della restrizione calorica cronica, ma lo aveva lasciato intendere, poiché la disponibilità energetica e glucidica per 3 giorni settimanali consecutivi era proprio una caratteristica della sua UD 2.0.
Gli studi di Davoodi rafforzerebbero l’idea che la durata ottimale dei refeed sia proprio di tre giorni. Alcune evidenze osservano che il declino di alcuni ormoni (LH) indotto dalla restrizione calorica non venga restaurato da un singolo giorno di refeed, anche con un forte surplus calorico (6), e che possano essere necessari almeno due giorni consecutivi per iniziare ad invertire questi adattamenti (7).
Estrapolazioni pratiche
Secondo il ricercatore e natural bodybuilder Eric Helms, il refeed giornaliero è un approccio da suggerire solo per quei soggetti magri che presentano livelli di grasso inferiori al 12% per gli uomini e al 20% per le donne (3).
Lyle McDonald invece suggeriva la possibilità di organizzare tra uno e due giorni di refeed settimanali ogni 7 giorni, se il soggetto ha una massa grassa del 15% o inferiore per l’uomo, e del 24% o inferiore per la donna (4).
Secondo gli autori questo sarebbe il punto, durante il periodo di dieta ipocalorica, in cui il corpo cerca di opporsi alla perdita di grasso abbassando i consumi energetici, e dove sarebbe più giustificato introdurre questa strategia.
Sebbene i soggetti degli studi di Davoodi fossero obesi, per un soggetto sportivo e magro che pratica esercizio con i pesi non ci sarebbe la necessità di introdurre dei refeed multi-giornalieri se il grasso corporeo non è sceso al di sotto delle soglie menzionate da Helms; in questi casi si potrebbe adottare semplicemente un solo giorno di refeed nella settimana. Helms e McDonald non parlano della necessità di organizzare i refeed multi-giornaliero per tre giorni consecutivi, ma che sarebbe possibile distribuire due o tre singole giornate di refeed separate nella settimana.
In questo modo ciò risulterebbe un classico carb cycling con due o tre giornate iperglucidiche eucaloriche (al mantenimento). Secondo le evidenze sopra riportate, è tuttavia presumibile che organizzare il refeed multi-giornaliero concentrando le giornate consecutivamente sia la scelta migliore per ripristinare almeno temporaneamente l’attività leptinica.
Riferimenti:
- Davoodi SH et al. Calorie Shifting diet versus calorie restriction diet: A comparative clinical trial study. Int J Prev Med. 2014 Apr; 5(4): 447–456.
- Davoodi SH et al. Caffeine treatment prevented from weight regain after Calorie Shifting diet induced weight loss. Iran J Pharm Res. 2014 Spring; 13(2): 707–718.
- Helms ER, Valdez A, Morgan A. The Muscle and Strength Pyramid – Nutrition. e-book. 2015. pp. 72-74.
- McDonald L. A Guide to Flexible Dieting. Lyle McDonald. 2005.
- McDonald L. the Ultimate Diet 2.0. Lyle McDonald. 2003. pp. 28.
- Loucks AB, Verdun M. Slow restoration of LH pulsatility by refeeding in energetically disrupted women. Am J Physiol. 1998 Oct;275(4 Pt 2):R1218-26.
- Olson BR et al. Short-term fasting affects luteinizing hormone secretory dynamics but not reproductive function in normal-weight sedentary women. J Clin Endocrinol Metab. 1995 Apr;80(4):1187-93.