Il push down (o press down) è uno degli esercizi di isolamento più tradizionali e diffusi per stimolare selettivamente il muscolo tricipite brachiale.
L’articolo approfondisce gli aspetti anatomici e biomeccanici dell’esercizio per migliorare il gesto esecutivo, analizza le numerose varianti esistenti tra cui quelle poco conosciute e vaglia la letteratura scientifica pubblicata, con lo scopo di trasmettere delle inedite estrapolazioni pratiche.
Esecuzione
L’esecuzione tradizionale del push down impone il movimento mono-articolare che prevede l’estensione del gomito nella fase concentrica. L’esecutore si pone al di sotto della poliercolina con le braccia strette ai fianchi, impugna la barra o la corda e la spinge verso il basso fino al punto di massima estensione del gomito, per poi risalire mediante una flessione passiva nella fase eccentrica.
Nella fase negativa l’avambraccio dovrebbe essere piegato ben oltre i 90° (idealmente a 120-130°) per permettere il massimo allungamento del tricipite. Tale dettaglio è molto importante per stimolare la muscolatura dato che l’allungamento muscolare è un fattore determinante per sviluppare ipertrofia muscolare.
Secondo le indicazioni canoniche, le ginocchia rimangono leggermente piegate, il corpo viene mantenuto rigido con la lordosi lombare in posizione fisiologica, mentre i gomiti vengono mantenuti stretti e saldi ai fianchi (1).
Muscoli coinvolti
I muscoli coinvolti durante il push down sono essenzialmente rappresentati dal muscolo tricipite brachiale e dall’anconeo. Se quest’ultimo muscolo viene generalmente ignorato a causa delle sue piccole dimensioni e dell’irrilevanza a livello estetico, durante l’esercizio alcuni capi del tricipite sarebbero relativamente più coinvolti rispetto ad altri.
Molti altri sono i muscoli coinvolti in maniera isometrica nel mantenere i gomiti stretti ai fianchi, i numerosi estensori della spalla. L’attivazione di questi muscoli è maggiore se il corpo viene arretrato rispetto alla puleggia.
Nel push down il capo lungo del tricipite viene portato in cosiddetta insufficienza attiva, vale a dire che si trova in una posizione di pre-accorciamento. Quando un muscolo biarticolare si trova in una posizione in cui è accorciato in partenza, questo riduce la sua forza contrattile, e quindi la sua capacità di essere reclutato e produrre forza (2). Per questo l’esercizio è in genere ritenuto più ottimale per i capi mono-articolari del tricipite, ovvero i capi mediale e laterale, sebbene ciò sia ampiamente dibattuto.
Le tre prese
Il push down viene normalmente eseguito con tre tipi di presa differenti: prona, neutra e supina. La più comune tra tutte è probabilmente la presa prona o semi-prona con barra dritta o a V, rispettivamente. La presa neutra viene applicata usando la corda, mentre la presa supina viene applicata con la barra orizzontale.
Le tre differenti prese influiscono sul grado di rotazione assiale (prono-supinazione) dell’avambraccio, il che può alterare in maniera minima l’attività dei tre capi del tricipite, ma influisce soprattutto sull’attività dei muscoli stabilizzatori del polso e probabilmente dell’anconeo.
- Presa prona (avambraccio in rotazione interna): Aumenta potenzialmente l’attivazione dell’anconeo (6), oltre che i flessori del polso per stabilizzare l’articolazione. Dato che i flessori del polso sono più forti degli estensori (7), e che l’anconeo è più attivo con la presa prona, è probabile che questi siano in motivi per cui il push down con questa presa permette di esprimere più forza, perlomeno se confrontato alla variante a presa supina (3).
- Presa neutra (avambraccio in rotazione intermedia): In questa posizione, praticabile con la corda, è possibile che l’anconeo sia meno attivo, mentre i muscoli stabilizzatori del polso reclutati isometricamente sono gli adduttori.
- Presa supina (avambraccio in rotazione esterna): La presa più svantaggiosa dal punto di vista della forza espressa (3), e quindi della generale attivazione muscolare. In questo caso sono gli estensori del polso – molto più deboli dei flessori – a stabilizzare l’articolazione in maniera isometrica. Inoltre l’anconeo verrebbe portato “fuori gioco”.
Alcuni autori giudicano la presa supina inutile, poiché la prono-supinazione dell’avambraccio non ha alcun effetto sulla relazione lunghezza-tensione (LTR) del tricipite (pre-contrazione o pre-allungamento) (1).
La prono-supinazione infatti impone la sola rotazione del radio, ma il tricipite si inserisce sulla parte prossimale dell’ulna (gomito), che non compie una rotazione assiale. Effettivamente la presa supina non dimostra delle variazioni dell’attività dei tre capi, coinvolti allo stesso modo (3).
Proprio a causa dell’importante perdita di forza nell’estensione del gomito e dell’incapacità di influire sulla LTR del tricipite, il push down a presa supina può essere considerato funzionalmente meno efficiente oltre che superfluo.
Push down e ipertrofia selettiva
Come detto, la comune teoria propone che il push down sia un esercizio inadatto per stimolare il capo lungo del tricipite, ma che sia al contrario ideale per i capi mono-articolari – laterale e mediale (2).
In realtà, alcune analisi (non peer review) sull’attivazione muscolare indotta dall’esercizio hanno registrato un’attività del capo lungo piuttosto elevata (3,4), anche simile o superiore ad altri esercizi che dovrebbero sollecitarlo maggiormente.
Altri studi hanno invece osservato che l’attivazione del capo lungo risulti maggiore a spalla flessa piuttosto che estesa (cioè con i gomiti sollevati piuttosto che ai fianchi), confermando al contrario il principio dell’insufficienza attiva (5).
Ma come è noto, gli studi elettromiografici non sono predittivi dell’ipertrofia, quindi vanno considerati altri tipi di studi dove si analizza il vero e proprio sviluppo dell’ipertrofia, e che non a caso mostrano risultati molto differenti.
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