Il sissy squat (squat “da femminuccia”) è un esercizio contro resistenza la cui versione originale fu popolarizzata dal compianto coach di bodybuilding Vince Gironda negli anni ‘60, nella cosiddetta silver era del bodybuilding.
La versione più popolare tuttavia è molto diversa da come venne concepita in origine, risultando per certi versi ottimizzata, ma non priva di controversie.
L’articolo approfondisce la storia, le caratteristiche, i pregi e i difetti di questo classico esercizio del bodybuilding., per chiudere con le fondamentali estrapolazioni pratiche per il suo utilizzo nei programmi finalizzati a sviluppare l’ipertrofia muscolare.
Indice
The original Gironda’s sissy squat (aka the Walford squat)
Non è per nulla noto che l’originale sissy squat di Vince Gironda abbia poco a che vedere con la versione che tutti conoscono. Secondo la dimostrazione dello stesso coach, l’esercizio prevedeva il bilanciere con una presa front squat, un gradino sotto i talloni, e un movimento in 4 tempi (anche se in genere se ne riconoscono discutibilmente solo 3): (1)
- 1° fase eccentrica: monoarticolare come nella variante più nota fino a circa 90° di flessione di ginocchio;
- 2° fase eccentrica: accosciata profonda spingendo il bacino indietro con appiattimento lombare;
- 1° fase concentrica: risalita dalla buca fino a circa 90° di estensione di ginocchio;
- 2° fase concentrica: dopo aver spinto nuovamente il bacino in avanti, chiusura monoarticolare come nella prima eccentrica;
Accantonando sentimenti nostalgici ancorati alla tradizione, si nota il tipico folklore old school dove l’originalità prendeva il sopravvento sul criterio tecnico. La meccanica molto macchinosa veniva giustificata da spiegazioni vaghe e con le conoscenze di oggi ben poco convincenti, che lo farebbero rientrare nella categoria dei “bro-esercizi”.
Ad esempio, Gironda promosse l’esercizio perché il suo inventore, Monty Wolford, aveva una forma gradevole e uniforme del quadricipite (1); questo perché fino a tempi relativamente recenti vigeva la falsa credenza che le forme dei ventri muscolari fossero modificabili da determinati esercizi (vedi i bicipiti di Larry Scott con l’omonima panca) (2).
Dalla prospettiva dei rapporti stimolo/fatica e rischio/benefici, l’originale sissy squat di Walford/Gironda non risulta un buon esercizio, perché:
- i carichi utilizzabili per poter eseguire un gesto così complesso e instabile sono inevitabilmente bassi in rapporto alla forza generabile dai quadricipiti (i muscoli più grandi del corpo);
- l’esercizio risulta poco pratico e con una meccanica complessa (neppure giustificata ad un eventuale transfer su altri esercizi);
- lo stress articolare è notevole sulle ginocchia, ma soprattutto sulla zona lombare a causa dei bruschi riassestamenti del bacino sotto carico e la perdita dell’assetto lombare in buca;
Forse è per questi motivi che il sissy squat che tutti conoscono ha semplificato enormemente la meccanica, salvando (e per certi versi ottimizzando) il buono che questa variante aveva portato per la stimolazione del quadricipite.
Il sissy squat mono-articolare
La variante popolare del sissy squat è stata introdotta solo in seguito (non è chiaro da che epoca, ma si presume dagli anni ‘80), sebbene ad oggi sia quella formalizzata anche nei libri di bodybuilding e di resistance training in generale (2,3).
Il “nuovo” sissy squat mantiene dalla forma originale l’assetto che prima veniva adottato solo nella prima fase eccentrica e l’ultima fase concentrica, ovvero la porzione mono-articolare con il bacino spinto in avanti (anca estesa).
Se nella versione di Walford/Gironda il nominativo di “squat” era giustificato, in questo caso non conserva nulla di un piegamento sulle gambe (4) essendo una pura flesso-estensione di ginocchio monoarticolare, ma il termine è stato impropriamente mantenuto in virtù della sua stretta discendenza.
Con i talloni rialzati (il gradino spesso non è previsto), si mantiene l’anca estesa e un allineamento compatto del blocco tronco-cosce, abbassando il corpo tramite una flessione delle ginocchia che scivolano in avanti.
La flessione del ginocchio in genere raggiunge i massimi gradi tollerabili (anche oltre i 140°) per avvicinarsi il più possibile al parallelo delle tibie col pavimento. Nella fase concentrica si risale riportando il corpo in verticale (2,3).
La meccanica è quasi puramente monoarticolare, per certi versi una versione ai pesi liberi (o a corpo libero) della leg extension. Una differenza sostanziale con quest’ultima è la curva della resistenza inversa (discendente vs ascendente) e quindi una riduzione della forza e il punto morto in massimo accorciamento. Ma esistono anche delle differenze di natura muscolare e articolare non irrilevanti.
Aspetti muscolari
Il sissy squat potrebbe essere giudicato molto efficiente per l’ipertrofia, perché la tibia (leva attiva) raggiunge una perpendicolarità rispetto alla linea della resistenza molto superiore agli altri esercizi per le cosce (2). Per le analogie con la leg extension, l’esercizio è superiore ai comuni movimenti multi-articolari per stimolare il retto femorale, dato che l’anca bloccata fissa la sua origine permettendone un’ampia modifica della lunghezza durante la contrazione.
Inoltre, rispetto alla leg extension l’anca viene mantenuta circa il doppio più estesa, permettendo allo stesso retto femorale di essere molto più allungato in partenza (pre-stiramento). Questo fascio è doppiamente coinvolto in quanto all’origine agisce anche per stabilizzare il tronco per mantenerlo allineato col femore in diagonale, sfidando la gravità. Il presunto vantaggio del pre-stiramento però è solo teorico.
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